INTRODUZIONE A WEBER


1.

Per rigore metodologico, vastità d'interessi, capacità analitica e originalità concettuale, Weber è l'unico studioso nel campo delle scienze sociali che regge il paragone con Marx. La famosa dichiarazione con la quale egli rivendica l'orgoglio di essere borghese ("Io sono un membro della classe borghese, mi sento tale e sono educato alla sua visione del mondo e ai suoi ideali") e alcuni sviluppi del suo pensiero, implicitamente ed esplicitamente critici nei confronti del materialismo storico-dialettico, hanno contribuito ad avallare l'identificazione di Weber come l'anti-Marx. C'è del vero in questa identificazione. Weber ricusa con decisione alcuni capisaldi della teoria marxista: il determinismo economico, la riduzione della storia alla lotta delle classi, l'approdo inevitabile al comunismo, ecc. Cionondimeno, egli riconosce la grandezza di Marx e la sua superiorità intellettuale (onestà singolare per un pensatore di tale portata), ne apprezza, senza condividerlo, l'afflato umanitaristico e - cosa ancora più importante - ribadisce, da una diversa angolatura - esistenziale più che economica -, la teoria dell'alienazione capitalistica.

Quest'ultimo aspetto, imbarazzante per tutti gli epigoni che si appellano a Weber per sostenere che il capitalismo rappresenta l'ultimo e non sormontabile stadio dello sviluppo storico, ma pongono tra parentesi le sue inquietanti previsioni sulle conseguenze (probabili) del capitalismo sulla condizione umana, merita un'attenzione particolare.

Weber, come Marx, vede nel capitalismo occidentale uno sviluppo prodigioso sulla via della produzione della ricchezza. Egli, pure attribuendo tale sviluppo ad un insieme di cause tra cui anche quelle culturali (l'etica protestante), identifica, come Marx e con maggiore lucidità, la chiave di tale sviluppo nella razionalizzazione e nella burocratizzazione della struttura sociale. Questo processo determina il "disincanto" del mondo, vale a dire una laicizzazione della cultura che comporta la crisi dei sistemi magico-religiosi e dei valori morali che da essi discendono. Si tratta però di un male minore rispetto alla spersonalizzazione che esso può produrre: "Immaginate le conseguenze di quella vasta burocratizzazione e razionalizzazione cui oggi già ci stiamo avvicinando. Già oggi in tutte le imprese economiche gestite in modo moderno il calcolo razionale è presente ad ogni stadio. Per suo tramite, la prestazione di ciascun lavoratore è misurata quantitativamente, ciascun uomo diventa un piccolo ingranaggio in una macchina e, consapevole di ciò, ha come unica preoccupazione quella di poter diventare un ingranaggio più grande"; "E' terribile pensare che il mondo potrebbe un giorno essere pieno di nient'altro che di piccoli denti d'ingranaggio, di piccoli uomini aggrappati a piccole occupazioni che ne mettono in moto altre più grandi…Questo affanno burocratico porta alla disperazione… e il mondo potrebbe un giorno riconoscere nient'altro che uomini di questo stampo: è in un'evoluzione di tal fatta che noi ci troviamo già invischiati, e il grande problema non verte quindi sul come sia possibile promuoverla e accelerarla, ma sui mezzi - viceversa -da opporre a questo meccanismo al fine di serbare una parte dell'umanità da questo smembramento dell'anima, da questo dominio assoluto di una concezione burocratica della vita".

Weber dunque concorda con Marx sul fatto che il nuovo mondo razionalizzato e efficiente si è trasformato in un mostro o in una "gabbia d'acciaio" che minaccia di disumanizzare i suoi creatori. A differenza di Marx, Weber però ritiene che non si diano alternative a questo modello di sviluppo e che esso sia ineluttabilmente destinato ad estendersi a tutto il pianeta. Egli non ha alcuna ricetta contro il pericolo della spersonalizzazione dell'uomo. Se si sta alla testimonianza della moglie, che trova peraltro alcuni riscontri nelle opere, l'ultimo Weber, fedele al suo essere borghese, intravedeva nella difesa politica della libertà e della dignità dell'uomo un estremo rimedio contro quel pericolo. Il problema, che a posteriori appare ancora più chiaro, verte sulla capacità della politica di ingabbiare o regolare gli spiriti animali del capitalismo.

C'è una contraddizione intrinseca che sottende tutto il pensiero di Weber, e spiega lo scarto tra il lucido realismo dell'analisi e la carenza delle soluzioni in rapporto ai problemi che essa pone in luce.. Non volendo aderire né ad un'interpretazione materialistica della storia né a quella idealistica, Weber assume l'individuo concretamente agente come elementare unità di analisi, come il suo "atomo". L'individuo è il limite più elevato e l'unico portatore di un comportamento significativo. Se questo è vero, però, come interpretare il fatto che la confluenza di azioni individuali giunga a produrre un mondo e una struttura sociale il cui rischio è la spersonalizzazione dell'individuo? Inoltre, se questo è l'effetto della razionalità capitalistica, ciò non attesta che essa permette l'espressione di alcune potenzialità dell'uomo, mortificandone altre di non minore valore?

Weber ha sempre sottolineato che lo studioso di scienze sociali deve limitarsi a descrivere e comprendere le cose così come stanno, astenendosi da giudizi di valore. Ma è possibile una neutralità del genere allorchè lo studioso si confronta con situazioni storico-sociali che, in qualche misura, lo coinvolgono? Weber pensa di sì e fonda tale convinzione su di una corretta metodologia.

2.

Uno dei meriti maggiori di Weber, in effetti, sta nell'avere rivendicato la possibilità di analizzare i fenomeni storico-sociali con una metodologia scientifica. Una rivendicazione del genere era stata già avanzata da Comte, Durkheim e Marx, ma non v'è dubbio, per questo aspetto, che la proposta metodologica di di Weber si possa ritenere la più avanzata.

Essa muove dal rifiuto di mutuare il metodo sperimentale adottato dalle scienze naturali. A differenza dei fenomeni naturali, quelli storico-sociali in tanto si danno in quanto sono il prodotto dell'agire di soggetti che attribuiscono ai loro comportamenti un significato. La comprensione dell'agire significativo è, dunque, l'obbiettivo delle scienze storico-sociali. Ma che significa comprensione in questo ambito? E come può essere differenziato l'agire significativo dal contesto dei comportamenti umani?

Comprensione è un termine che Weber adotta di Dilthey, nel quale esso designa la capacità da parte dello studioso di immedesimarsi nei fatti del mondo umano e di penetrarli in virtù dell'intuizione. Egli però ne estende il significato. La comprensione weberiana presume l'immedesimazione e il rivivere quei fatti, ma, per levarsi alla dignità di una proposizione scientifica, essa deve arrivare ad una spiegazione di tipo causale.

Come è possibile una cosa del genere in rapporto a fenomeni complessi per un verso e individuati per un altro come quelli storico-sociali?

La sociologia comprendente di Weber postula due momenti metodologici fondamentali. Il primo è la definizione dell'oggetto di studio sullo sfondo della totalità cui appartiene. Questa definizione implica una scelta, una valutazione soggettiva, che distacca, per così dire artificialmente, la figura dallo sfondo. Questo arbitrio è giustificato dal fatto che la successiva analisi del fenomeno confermi il suo carattere pregnante, la sua importanza e la sua ricorrenza storica. Il secondo momento metodologicamente rilevante la spiegazione causale, vale a dire la scoperta di nessi causali che consentono d'interpretare il fenomeno in questione. I nessi in questione devono essere quelli essenziali, cioè quelli necessari e sufficienti a fondare la probabilità che il fenomeno si produca.

La scoperta dei nessi causali richiede da parte dello studioso un atteggiamento neutrale, avalutativo, che gli permetta di accettare le conclusioni della sua indagine anche se esse contrastano con le sue originarie convinzioni o con i suoi valori.

Anche se il fenomeno storico-sociale in questione è solo un frammento di una totalità più ampia, è vano, secondo Weber, pensare che si possa arrivare ad una spiegazione esauriente. La sociologia comprendente mira alla definizione di tipi ideali, vale a dire di modelli che, pur accentuando unilateralmente alcuni aspetti del fenomeno in questione e ponendo in ombra altri, giungono a definire ciò che in esso si può ritenere essenziale e specifico. Non si dà coincidenza tra tipo ideale e fenomeno storico-sociale: il secondo appartiene all'ambito della realtà, mentre il primo è una costruzione intellettuale, utile nella misura in cui pone in luce nessi causali che l'apparenza della realtà, nella sua complessità infinita, maschera o cela.

La semplificazione che il tipo ideale sovrappone alla realtà, pur necessaria al fine di arrivare a risultati di ordine scientifico, non deve essere però tale da ridurre la causalità ad un principio lineare. La realtà storico-sociale infatti è sovradeterminata, riconosce sempre catene causali molteplici. Il tipo ideale tanto più si approssima alla verità quanto più nessi causali esso riesce a stabilire tra i vari livelli della realtà: l'economico, il sociale, il culturale, lo psicologico, ecc.

A posteriori, è facile riconoscere che Weber ha anticipato, in una certa misura, la teoria dei sistemi complessi. I fenomeni storico-sociali, di fatto, dal livello dei comportamenti individuali significativi a quelli economici, politici, culturali, ecc., riconoscono di fatto, per quanto riguarda la loro genesi e la loro evoluzione, il concorso di un numero indefinito di fattori variabili. Per questo aspetto, ricusare le spiegazioni lineari, come quelle fornite dal materialismo dialettico volgare, è perfettamente legittimo. Altrettanto legittimo è ritenere che, date le variabili in gioco, il divenire della storia non può essere previsto con la precisione propria delle scienze naturali. La causalità multifattoriale e l'evoluzione probabilistica, non deterministica, della storia, che molti epigoni di Weber hanno assunto come una critica radicale del marxismo, non escludono affatto, nell'ottica della teoria dei sistemi, che la dinamica storica comporti, in alcune circostanze, delle situazioni catastrofiche aperte su alternative che sono prevedibili e intelleggibili, anche se nessuno può sapere quale delle due è destinata a realizzarsi. Il riferimento alla teoria dei sistemi, in altri termini, permette di ridurre lo scarto tra la teoria di Marx e quella di Weber. Questi avrebbe flessibilizzato la teoria marxiana, introducendo in essa la multicausalità dei fenomeni storici, ma non ne avrebbe estinto il potere euristico.

Questo appare ancora più vero se si tiene conto che la concezione della causalità di Weber si applica diversamente alla storia e alla sociologia. La causalità storica determina le circostanze uniche che hanno provocato un certo avvenimento. La causalità sociologica suppone l'esistenza di una relazione regolare tra due fenomeni. Questa relazione non assume necessariamente la forma: il tal fenomeno A rende inevitabile il tal fenomeno B, ma si può formulare così: il tal fenomeno A favorisce più o meno il tal fenomeno B.

2.

Riguardo all'agire sociale, il pensiero di Weber è solo apparentemente chiaro e distinto. Per agire - egli scrive - si deve intendere un atteggiamento umano (sia esso un fare o un tralasciare o un subire di carattere esterno o interno), se e in quanto l'individuo che agisce o gli individui che agiscono congiungono ad esso un senso soggettivo. Per agire sociale - egli aggiunge - si deve però intendere un agire che sia riferito - secondo il suo senso intenzionato dall'agente o dagli agenti - all'atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo. In pratica, l'azione è tale solo in quanto è dotata di senso, ha una motivazione individuale. Si ha azione sociale quando tale motivazione è diretta verso altri soggetti individuali. L'interazione tra gli agenti intenzionati dà luogo alla relazione sociale nelle sue molteplici forme.

E' evidente che queste definizioni sono rese necessarie dall'esigenza di Weber di mantenere la comprensione su di un piano scientifico. Il senso soggettivo che gli agenti danno ai loro comportamenti può infatti essere oggettivato o ricostruito con una certa attendibilità, tanto più se le azioni riguardano un gruppo di persone. Il problema sta nel chiedersi in quale misura questo senso coincide con le motivazioni che sottendono i comportamenti. Se si ammette infatti, con la psicoanalisi, che i comportamenti umani riconoscono spesso motivazioni del tutto estranee alla coscienza e che queste motivazioni, in non pochi casi, hanno un valore determinante, è chiaro che il senso soggettivo dell'agire sociale può ridursi ad una mera giustificazione dello stesso. Weber, nella cui biblioteca sono state ritrovate anche le opere di Freud, non considera questo aspetto.

Egli procede a definire le determinanti dell'agire sociale nei seguenti termini: "Come ogni agire, anche l'agire sociale può essere determinato: 1) in modo razionale rispetto allo scopo - da aspettative dell'atteggiamento di oggetti del mondo esterno e di altri uomini, impiegando tali aspettative come "condizioni" o come "mezzi" per scopi voluti e considerati razionalmente, in qualità di conseguenze; 2) in modo razionale rispetto al valore - credenza consapevole nell'incondizionato valore in sé - etico, estetico, religioso o altrimenti interpretabile - di un determinato comportamento in quanto tale, prescindendo dalla sua conseguenza; 3) affettivamente - da affetti e da stati attuali del sentire; 4) tradizionalmente - da un'abitudine acquisita".

Indubbiamente funzionale agli scopi della ricerca sociologica, questa tipologia dell'agire sociale appare invero piuttosto schematica. Essa sembra deputata soprattutto a differenziare l'agire sociale determinato in rapporto allo scopo, che è il fondamento della razionalità capitalistica, da tutte le altre azioni che risultano determinate da motivazioni più tradizionali se non addirittura arcaiche. Nella realtà ogni azione sociale comporta una mescolanza peraltro variabile di determinanti, una delle quali può essere semplicemente prevalente.

Il problema contro cui viene ad urtare Weber è che, eleggendo l'agire sociale degli individui come obbiettivo della sociologia comprendente, egli, come peraltro Durkheim e Pareto, non può prescindere da un modello di riferimento psicologico. Ma il modello che Weber costruisce appare troppo incentrato sulla coscienza e sostanzialmente schematico sotto il profilo motivazionale.

L'integrazione tra sociologia e psicologia ancora oggi si pone come un problema irrisolto. E evidente che una scienza panantropologica non potrà darsi se non venendone a capo.

3.

Contrapporre Weber a Marx è un errore. Weber non nega che i fattori economici abbiano rilevanza nell'evoluzione della storia, né che, in alcuni casi, essi possano avere un valore causale preminente. Ciò che egli esclude è che essi abbiano sempre questo valore. La spiegazione causale dei fenomeni storici pertanto spazia dal livello infrastrutturale - economico - a quello sovrastrutturale - culturale - e cerca, di volta in volta, di definire quale combinazione tra i diversi fattori incide nella loro genesi e nella loro evoluzione. Questo non significa però che Weber ha semplicimente flessibilizzato la teoria marxiana. Come si è già detto, egli non ne condivide i capisaldi di fondo. Ma è ancora più importante rilevare l'opposizione tra i presupposti antropologici dei due sistemi. Marx ha una concezione sostanzialmente positiva, se non ottimistica, dell'uomo. Ritiene che le sue potenzialità tra formative del mondo non escludano degli "errori" anche gravi, ma rimediabili e infine sormontabili in virtù di una vocazione per cui l'uomo tende, da ultimo, a costruire un mondo fatto a sua misura. Weber, viceversa, seppure non si possa ritenere pessimista, ha un atteggiamento molto più prudente. Assume sì l'uomo, e in particolare l'individuo, come un essere che aspira alla libertà ed è dotato di una dignità sua propria. Ritiene peraltro che egli procede, nella storia, operando scelte tra probabilità che, per quanto spiegabili causalmente, non è detto che siano le migliori. La razionalità capitalistica, per esempio, è un bene nella misura in cui accresce la produzione della ricchezza, e quindi di una possibile felicità. Ma se essa dovesse configurarsi infine come una "gabbia d'acciaio" spersonalizante dalla quale gli uomini non potessero più uscire?

Insomma, Marx è un pensatore moderno, Weber in qualche misura un pensatore postmoderno. Ciò spiega il crescente successo che la sua opera incontra da alcuni decenni a questa parte.

L'uso postmoderno di Weber, soprattutto per quanto concerne il pluralismo dei valori culturali che, in quanto prodotti dall'uomo, sono relativi, è contestabile. Facendo riferimento al "politeismo" dei valori, Weber ha preso atto di una realtà oggettiva. Ciò non significa che egli li ritenesse tutti alla stessa stregua. Il suo merito inestinguibile è di avere anticipato la scuola dei nuovi storici francesi nel mettere in luce il rilievo che i fenomeni mentali hanno nella storia. Certo egli era ben lungi dal considerare che tali fenomeni agissero in misura prevalente al di fuori della coscienza.

Perciò, una scienza panantropologica non può prescindere dall'impresa intellettuale colossale di Weber, ma non può neppure ignorarne i limiti.