EMILE DURKEIM - VITA E OPERE


Émile Durkheim nasce da una famiglia ebrea e viene avviato, da bambino, agli studi che lo avrebbero portato a diventare rabbino, come il padre. Piuttosto presto, tuttavia, prevale in lui una vocazione laica che lo porta a conseguire la laurea in filosofia. Si dedica all'insegnamento liceale per alcuni anni, ma, intuita la sua vocazione di ricercatore, si stabilisce a Parigi, ove August Comte ha dato avvio alla definizione della sociologia come scienza positiva. Durkheim intuisce che questa nuova scienza abbisogna anzitutto di una metodologia rigorosa che consenta lo studio dei fatti sociali.

Ottenuto nel 1887 l'incarico di scienza sociale e pedagogica nell'Università di Bordeaux, egli fonda la rivista Année sociologique, che assicurerà la diffusione europea del suo pensiero, e pubblica nel 1893 Les règles de la méthode sociologique e De la division du travail sociale. Queste opere, oltre a produrre il riconoscimento ufficiale della sociologia come scienza, contrappongono al marxismo un modello fondato sulla necessità di una solidarietà tra le classi sociali che appare immediatamente funzionale alle esigenze della società borghese.

Nel 1897, con l'intento di provare la potenza del metodo che ha creato, affronta, ne Le suicide, un tema considerato sino allora di stretta pertinenza psicologica e psichiatrica, pervenendo a conclusioni che serbano ancora oggi interesse.

Nel 1902 ottiene l'incarico alla Sorbona di scienza dell'educazione, che manterrà sino alla morte.

Nel 1912 pubblica Le formes élémentaires de la vie religieuse, nella quale affronta la religione come espressione primaria della società.

Duramente colpito dalla morte del figlio in guerra, muore nel 1917. Per comprendere a pieno il percorso intellettuale di Emile Durkheim, è necessario contestualizzare la sua sociologia all'interno del particolare momento storico nel quale operò. Le forti tensioni politico-sociali della Francia di fine '800, unite ad una crescita economica contrassegnata da forti contraddizioni interne, lo spinsero ad occuparsi del problema sociale, all'interno del quale trovò spazio la nascita del suo apparato teorico-concettuale, riguardante in particolar modo la funzione delle normative sociali e lo sviluppo di una nuova forma di morale laica e scientifica. Durkheim scrisse e si impegnò in varie direzioni, politica, pedagogia, etica, pubblicò un trattato di sociologia ed uno sul suicidio, eppure in tutti i suoi lavori è possibile rintracciare un nucleo fondamentale, il rapporto individuo-società. Fin dal suo primo lavoro importante, è possibile delineare quel sistema teorico che sarà sviluppato nel corso della sua vita di studioso. Durkheim si batté sempre per donare autonomia alla nascente sociologia, tentando di renderla autonoma dalla filosofia, e che fosse, inoltre, retta esclusivamente da basi scientifiche. L'osservazione empirica dei fenomeni studiati, e l'eliminazione di tutte quelle pre-nozioni che erano state la causa di enormi fraintendimenti riguardante la conoscenza della società e delle leggi che ne governavano il funzionamento, sono da considerare come i due capisaldi teorici da cui partirono tutti gli esponenti che fecero parte della corrente. La caratteristica principale della metodologia della scuola sociologica francese fu quella di considerare i fenomeni sociali (dalla famiglia alla parentela, dalla religione all'economia) come "cose" aventi una vita propria, la cui esistenza sarebbe stata garantita indipendentemente dall'apporto delle singole coscienze, e capaci, per questo, di esercitare una pressione costante sugli individui del gruppo. L'intera gamma dei fatti era da studiare con l'ausilio del metodo dell'osservazione empirica, al fine di garantire scientificità ad ogni fase dello studio. Durkheim era convinto che la società fosse da intendere come un entità sui generis, ossia un sistema avente una vita propria, indipendentemente dall'apporto delle coscienze singole. La società dettava le sue regole dall'alto, ed attraverso un processo coercitivo costante, costringeva i suoi membri a conformarsi a tali regole. Attraverso l'uso di esempi tratti dalla chimica e dalla biologia, Durkheim fornirà una chiara idea del suo concetto di società, all'interno della quale ogni individuo verrà considerato in analogia con le singole cellule di un organismo vivente. La società non è la semplice risultante delle singole coscienze, quanto piuttosto una sintesi operata dalla loro fusione.

Compresa l'idea di aggregato sociale, Durkheim tentò di definire il tipo di solidarietà, ossia il grado di coesione esistente che vige presso i gruppi umani, rintracciandone due tipi: la solidarietà meccanica, derivante dalla indifferenziazione tra gli individui, tipica delle società "primitive", e organica, in cui ogni singolo membro assolve ad una particolare funzione, tipica delle società complesse in cui vige una marcata divisione delle attività lavorative. Quale che fosse la sua origine, ogni società era caratterizzata dall'esistenza di una coscienza collettiva, ossia quell'insieme di credenze, norme e sentimenti comuni alla media dei membri che la costituiscono. La coscienza collettiva (termine che Durkheim modificherà nel tempo con "rappresentazioni collettive") è ciò che determina la condotta dell'individuo in società, che ispira i suoi comportamenti, in modo che ogni azione, conforme allo statuto di una società, possa generare consenso sociale. Da ciò si può concludere che l'individuo è un prodotto della società, e non viceversa, perché questa è irriducibile dalla somma dei singoli, e mantiene una vita propria. Ogni azione che si compie in società è, dunque, frutto di una coscienza che ci è superiore, e dalla quale dipendiamo.

Nel Suicidio (1897) Durkheim tenterà di applicare i suoi enunciati teorici ad un fenomeno empirico di rilievo. Mettendo in evidenza il fatto che i tassi di suicidio mantengono, a livello statistico, valori costanti nel tempo e nei luoghi, Durkheim arriva alla conclusione che il suicido va inteso essenzialmente come un fatto sociale, in cui nulla è l'importanza della volontà del singolo. Grazie all'utilizzo di tabelle statistiche, si deduce, a livello di teorizzazione generale, che il suicidio varia in modo inversamente proporzionale al grado di socialità che l'individuo riesce a sviluppare, presentandosi, quindi, come un fenomeno che, prescindendo dalla psicologia individuale, va analizzato come indicatore del livello di coesione di un gruppo. Questo vuol dire, sostanzialmente, che più un individuo è inserito all'interno del gruppo, meno ha probabilità di suicidarsi. Durkheim arrivò a definire tre diversi tipi di suicidi, alla cui base agivano differenti motivazioni. Il primo era il suicidio egoistico, riscontrabile nelle società sviluppate, e si riferiva a quei casi in cui vi era una scarsa integrazione sociale. Il secondo tipo venne chiamato anomico, dovuto, al contrario, allo spaesamento dell'individuo causato da temporanee disfunzioni tra le varie parti costituenti una struttura sociale. Queste fasi anomiche erano tipiche di periodi di forti stress sociali, come ad esempio una pronunciata accelerazione economica, o un periodo di forte depressione, come ad esempio fu il 1929 in America. Senza più regole che ne dettassero il comportamento e ne limitassero i desideri, l'individuo si trovava solo con se stesso, e questo poteva essere una causa di elevati tassi di suicidi. L'ultima forma trattata fu quella che prese il nome di suicidio altruistico, tipico delle sole società "primitive". La caratteristica principale, al contrario degli altri due, è il forte senso di appartenenza e attaccamento a valori comuni espressi da un gruppo, ponendosi, per genesi e per causa scatenante, all'opposto rispetto alle altre due forme precedentemente trattate.