1.
La letteratura sulla globalizzazione è ormai vastissima, eterogenea (a seconda che privilegi gli aspetti economici, quelli politici o quelli culturali) e equamente divisa tra sostenitori e critici. Sociologo, Bauman appartiene sicuramente a questi ultimi. Il suo libro, però, oltre ad essere scritto con uno stile affascinante, che sembra rievocare i classici della sociologia critica, ha un taglio singolare. Come enuncia il sottotitolo, muovendo dalla "compressione dello spazio e del tempo" (p. 4) identificata come l'aspetto più generale e nello stesso tempo specifico della globalizzazione, Bauman cerca d'illuminare le molteplici conseguenze di essa sulla condizione dell'uomo oggi. In quest'ottica appare "evidente che i processi di globalizzazione non presentano quella unicità di effetti generalmente attribuita loro. Gli usi del tempo e dello spazio sono non solo nettamente differenziati, ma inducono essi stessi differenze tra persone. La globalizzazione divide tanto quanto unisce; divide mente unisce, e le cause della divisione sono le stesse che, dall'altro lato, promuovono l'uniformità del globo. In parallelo al processo emergente di una scala planetaria per l'economia, la finanza, il commercio e l'informazione, viene messo in moto un altro processo, che impone dei vincoli spaziali, quello che chiamiamo "localizzazione". La complessa e stretta interconnessione dei due processi comporta che si vadano differenziando in maniera drastica le condizioni in cui vivono intere popolazioni e vari segmenti all'interno delle singole popolazioni. Ciò che appare come conquista di globalizzazione per alcuni, rappresenta una riduzione alla dimensione locale per altri; dove per alcuni la globalizzazione segnala nuove libertà, per molti altri discende come un destino non voluto e crudele." (p. 4)
Tutti i processi storici promossi da cambiamenti tecnologici comportano, almeno nella fasi di avvio, conseguenze differenziate all'interno di una società o fra società diverse. Il problema che pone la globalizzazione è che la differenziazione in atto scava un solco, che appare insormontabile, tra un'élite ristretta e il resto della popolazione mondiale: muoversi, che è una conseguenza immediata della compressione dello spazio e del tempo, "ha significati radicalmente opposti per quanti sono al vertice e quanti si trovano al fondo della nuova gerarchia, mentre il grosso della popolazione, la nuova classe media, oscilla tra i due estremi e si accolla il carico di tale contrapposizione soffrendo di conseguenza di acute incertezze, ansietà e paure esistenziali." (p. 7) I presunti vantaggi a lungo termine della globalizzazione sembrano utopistici se si tiene conto di quest'aspetto e soprattutto dei meccanismi che lo hanno generato e lo alimentano, che sembrano di ordine strutturale, vale dire non facilmente reversibili.
Questa valutazione generale che Bauman dà della globalizzazione è comprovata dall'analisi di alcuni aspetti specifici.
Il primo è "il legame che intercorre tra il mutamento, nella storia, della natura del tempo e dello spazio e la struttura e le dimensioni delle organizzazioni sociali, in particolare gli effetti che la compressione attuale dello spazio e del tempo esercita sulla strutturazione delle società e delle comunità planetarie e territoriali." (p. 6)
Il mutamento in questione è dovuto al netto miglioramento del sistema dei trasporti per quanto riguarda il trasporto delle merci e alla nascita del World Wide Web per quanto concerne le informazioni. In conseguenza di questi fattori tecnologici, lo spazio si è compresso e il tempo è divenuto istantaneo. Ciò consente alle imprese di spostarsi da un territorio ad un altro e ai capitali d'investimento di muoversi liberamente e rapidamente su tutto il pianeta. Ciò significa che "i centri decisionali, insieme alle motivazioni stesse che determinano le decisioni, gli uni e le altre ormai liberi da legami territoriali, hanno preso a distaccarsi, in forma continua e inesorabile, dai vincoli imposti dai processi di localizzazione." (p. 11)
Gli investitori, dunque, "rappresentano il solo fattore veramente libero dai vincoli relativi allo spazio." (p. 11) La mobilità dei capitali "è emblematica della nuova divaricazione tra potere e obblighi sociali, una cesura senza precedenti nella storia perché i potenti si sottraggono radicalmente ad ogni vincolo: sono svaniti i doveri nei confronti non solo dei dipendenti, ma dei giovani e dei più deboli, delle generazioni che verranno e delle condizioni stesse che assicurano la vita di tutti noi; per dirla in breve, tutto ciò significa libertà dal dovere di contribuire alla vita quotidiana e al perpetuarsi della comunità civile." (p. 12)
Questa cesura ha una pesante ricaduta sociale: "piuttosto che render omogenea la condizione umana, l'annullamento tecnologico delle distanze spazio-temporali tende a polarizzarla. Emancipa alcuni dai vincoli territoriali e fa sì che certi fattori generino comunità extraterritoriali, mentre priva il territorio, in cui altri continuano ad essere relegati, del suo significato e della sua capacità di attribuire un'identità. Per alcuni, ancora, quell'azzeramento delle distanze di spazio e di tempo promette una libertà senza precedenti dagli ostacoli di carattere fisico e una capacità inaudita di muoversi e di agire a distanza. Per altri, invece, presagisce l'impossibilità di appropriarsi della località - dalla quale pure hanno scarse possibilità di liberarsi per muoversi altrove - e di renderla accogliente e vivibile." (p. 22)
Se i capitali viaggiano freneticamente, i loro proprietari "diventano davvero extraterritoriali, anche se, con il corpo, continuano a rimanere al loro posto." (p. 23) Quasi a sottolineare la loro extraterritorialità, essi sono spinti inesorabilmente all'isolamento, vale a dire ad appropriarsi di aree sempre più vaste di terreno pubblico e a recintarsi in esse, tagliando fuori gli altri. In conseguenza di questo, "il territorio urbano si trasforma nel campo di battaglia di una continua guerra per lo spazio, che a volte degenera nello spettacolo degli scontri urbani, delle schermaglie rituali con la polizia, delle risse e dei vandalismi delle folle del pallone, ma che è comunque combattuta ogni giorno appena dietro la cornice ufficiale, quella pubblica (e pubblicizzata), del normale ordine delle città." (p. 26); "l'arroccamento in una sorta di fortificazioni, da parte delle élites, e gli atti di aggressione da parte di quanti restano fuori delle mura, sortiscono il risultato di cumulare e rafforzare reciprocamente i loro effetti." (p. 27)
2.
L'extraterritorializzazione del potere economico, vale a dire la sua capacità di muoversi al di là dei confini degli stati, incide sulla sovranità nazionale: "sembra che lo stato-nazione si vada erodendo o forse inaridendo. Le forze erosive sono transnazionali" (p. 64); "gli Stati-nazione restano l'unico contesto strutturale nel quale portare i conti in equilibrio e le uniche forze la cui iniziativa politica abbia un'efficacia. Perciò, la transnazionalità delle forze dell'erosione catapulta il loro operato fuori del campo delle azioni che siano dettate da consapevolezza, determinate a degli obiettivi e potenzialmente razionali." (pp. 64-65)
In altri termini, "gli stati-nazione non riescono più a far quadrare i conti quando a prevalere nella sfera della propria sovranità sono gli esclusivi interessi della popolazione. E per questo, sempre di più, si trasformano in esecutori e plenipotenziari di forze che non hanno nessuna speranza di controllare sul piano politico. Grazie alla nuova porosità di tutte le pretese economie nazionali e alla natura effimera, elusiva e non territoriale dello spazio in cui essi operano [ ] i mercati finanziari globali impongono le propeie leggi e regole all'interno del pianeta" (p. 74); "grazie alla diffusione indiscriminata e inarrestabile di egole a favore della libertà commerciale e soprattutto della libertà di movimento dei capitali e della finanza, l'economia sfugge progressivamente al controllo politico" (p. 75); "le transazioni finanziarie valutarie puramente speculative raggiungono il volume di 1300 miliardi di dollari al giorno, cinquanta volte maggiore del volume degli scambi commerciali e quasi pari al totale di 1500 miliardi di dollari cui ammontano le riserve complessive di tutte le banche centrali mondiali. Nessuno stato può quindi resistere alle pressioni speculative dei mercati. L'unico compito che lo stato può svolgere e ci si aspetta che svolga in campo economico è di assicurare l'equilibrio del bilancio." (p. 75)
Ciò significa che la globalizzazione ha "un'interesse rilevante per stati deboli ma tuttavia tali da rimanere stati." (p. 76) La debolezza degli stati è funzionale all'allentamento dei freni di cui hanno bisogno i capitali: "deregolamentazione, liberalizzazione, flessibilità, fluidità crescente, semplificazioni delle transazioni sui mercati finanziari immobiliari e del lavoro, diminuzione degli oneri fiscali, ecc." (p. 77) L'esistenza degli stati è peraltro necessaria per tutelare, in nome delle leggi del mercato, l'iniqua distribuzione delle ricchezze, che determina una nuova stratificazione sociale. La promessa, intrinseca al sistema capitalistico, che la crescita della ricchezza alla fine si tradurrà in un bene comune sembra priva di fondamento: "Secondo il folklore della nuova generazione delle classi illuminate, che si sviluppano nel nuovo mondo coraggioso e monetarista del capitale nomade, aprire le chiuse e far saltare tutte le dighe create dallo stato renderebbe il mondo un luogo di maggiore libertà per tutti. Secondo tali tesi folkloristiche, la libertà (di commercio e di capitali, prima di tutto) è la serra nella quale la ricchezza crescerebbe come non mai è cresciuta prima: e una volta moltiplicata la ricchezza, essa sarebbe a disposizione di tutti." (p. 80) In realtà, "i mezzi attraverso i quali l'istituzione di mercati su scala mondiale viene attuata non facilitano ma, al contrario, precludono l'atteso effetto di diffusione dall'alto della ricchezza." (p.81)
3.
La nuova stratificazione sociale, che scava un solco sempre più profondo tra l'élite privilegiata e il resto della popolazione, è incentrata sulla capacità di soddisfare la compulsione al consumo, che, per effetto della globalizzazione mediatica, ormai investe tutti i cittadini del pianeta. Il problema è che "la parte del consumatore la si può far balenare a tutti: tutti possono volere essere consumatori e godere delle opportunità che quel tipo di vita comporta. Ma non tutti possono essere consumatori. Volerlo non basta: per rendere il desiderio davvero desiderabile, e per poter quindi trarre piacere dal desiderio, bisogna avere una ragionevole speranza di avvicinarsi a ciò che si desidera. Questa speranza che per alcuni è realistico nutrire, per altri è vana." (p. 96)
Una delle forme in cui oggi si esprime la compulsione al consumo è il muoversi nello spazio: "Per i consumatori che vivono nella società dei consumi, essere in movimento - vedere, cercare, non trovare o, più precisamente, non trovare ancora - non è il problema, un sgnale di malessere, ma la premessa del soddisfacimento, della gioia, o forse la gioia stessa Lo scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquisire e possedere, né di accumulare ricchezze in senso materiale, quanto l'eccitazione per sensazioni nuove, mai sperimentate prima. I consumatori sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni; sono collezionisti di cose solo in senso secondario." (p. 93)
Un'espressione dello scarto tra coloro che stanno in alto e coloro che stanno in basso è legata, per l'appunto, alla mobilità: "Per il primo mondo, il mondo di chi è mobile su scala globale, lo spazio ha perduto la sua qualità di vincolo e viene attraversato sia nella sua versione reale sia nella versione virtuale. Per il secondo mondo, quello di coloro che soni legati da una località, di coloro cui è vietato muoversi, costretti perciò a sopportare passivamente qualsiasi cambiamento che il luogo cui sono legati è costretto a subire, lo spazio reale si va rapidamente restringendo" (p 98). Un'ulteriore differenza si pone tra le due categorie allorché la seconda tenta di sottrarsi al suo destino crudele attraverso l'emigrazione: "Per gli abitanti del primo mondo - il mondo extraterritoriale sempre più cosmopolita degli uomini d'affari, dei manager della cultura globale, degli accademici globali - i confini statali sono aperti, e sono smantellati per le merci, i capitali, la finanza. Per gli abitanti del secondo mondo, i muri rappresentati dai controlli all'immigrazione, dalle leggi sulla residenza, dalle strade pulite e dalla tolleranza zero dell'ordine pubblico, si fanno più spessi; si fanno più profondi i fossati che li separano dai luoghi dove aspirerebbero a andare e dai sogni di redenzione, mentre tutti i ponti, appena provano ad attraversarli, si dimostrano ponti levatoi." (p. 100)
Nell'uso dello spazio, si definisce così una differenza radicale tra due diverse esperienze, quella dei turisti e quella dei vagabondi: "La prima esperienza viene vissuta come libertà postmoderna. La seconda può essere sentita in maniera insopportabile come una versione postmoderna della schiavitù" (p. 102); "i turisti viaggiano perché lo vogliono, i vagabondi perché non hanno altra scelta sopportabile." (p. 103)
In breve: "La pressione per abbattere le ultime barriere al libero movimento del denaro, delle merci e delle informazioni redditizie va di pari passo con la spinta a scavare nuovi fossati e ad erigere nuovi muri (chiamati in vario modo: leggi sull'immigrazione o sulla nazionalità) che blocchino i movimenti di quanti, a seguito di ciò, vengono sradicati, spiritualmente o fisicamente. Luce verde per i turisti, rosso per i vagabondi." (p. 104)
4.
Esautorato nel suo compito di governare l'economia e la distribuzione delle ricchezze, lo stato postmoderno, in maniera più evidente negli Stati Uniti ma ormai riscontrabile in tutti i paesi occidentali, sta manifestando una tendenza generale: "Essa consiste nel ridurre quel che ancora lo stato-nazione, sempre più debolmente conserva dell'iniziativa politica di un tempo, alle questioni della legge e dell'ordine: fenomeno che in pratica si traduce inevitabilmente nel garantire un'esistenza ordinata - sicura - ad alcuni, e nel minacciare e terrorizzare gli altri con la forza della legge." (p. 113)
I dati sono inequivocabili: "Il numero di persone in stato di detenzione o in attesa di una probabile condanna cresce rapidamente in quasi tutti i paesi. Quasi ovunque il sistema carcerario sta assistendo ad un boom delle costruzioni. Aumentano in tutto il globo le spese che lo stato destina alle forze della legge e dell'ordine, principalmente alle forze di polizia in servizio attivo e al personale carcerario. Fattore ancora più importante, la quota della popolazione in aperto conflitto con la giustizia e che andrebbe arrestata cresce a ritmi significativi." (p. 125)
Nella misura in cui questo trend è di ordine universale si è "tentati di concludere che le cause dell'accresciuto numero di reclusi debba essere di natura sovra-partitica e sovra-statale, che cioè abbiano un carattere globale piuttosto che locale Con ogni probabilità, tali cause sono connesse in maniera più che causale a un ampio spettro di trasformazioni che noi riconduciamo al concetto stesso di globalizzazione." (p. 127)
Confrontandosi con questo fenomeno, lo stato-nazionale trova modo di esprimere il suo residuo potere. Sulle questioni dell'ordine pubblico e della sicurezza sono d'accordo, peraltro, tutte le forze politiche, sensibili alle inquietudini dell'opinione pubblica in rapporto alla criminalità comune. Si crea in questo modo una infausta connivenza tra opinione pubblica e vertici politici: "E' forse una felice coincidenza, per gli operatori della politica e per quanti sperano di diventarlo, che i veri problemi dell'insicurezza e dell'incertezza si siano tradotti nell'ansia di ottenere delle garanzie di ordine; si può supporre che gli uomini politici facciano qualcosa riguardo ai due primi problemi solo perché li si vede agitarsi vigorosamente a proposito del terzo. Coincidenza felice davvero dato che alle due prime preoccupazioni è difficile mettere mano. I governi possono promettere seriamente solo una maggiore flessibilità del lavoro, ovvero, in ultima istanza, una maggiore insicurezza e un'insicurezza ancora più penosa e debilitante. I governi seri non possono offrire neppure certezze, dovendo concedere libertà a forze di mercato di cui è nota la mobilità e l'imprevedibilità; forze che, in virtù della conquista dell'extraterritorialità, tutti sono ormai convinti non possano essere controllati da governi inguaribilmente locali. Fare qualcosa o farsi vedere mentre si fa qualcosa nella lotta contro la criminalità che minaccia le condizioni di sicurezza della persona rimane, invece, una possibilità concreta, che per giunta porta con sé un grosso potenziale elettorale." (p. 129) La coincidenza è felice anche perché "dirotta l'attenzione del pubblico sui pericoli dell'attività criminosa e dei criminali, impedendogli invece di riflettere sulle ragioni per ci si continui a sentirci insicuri, persi e spaventati." (p. 131)
E' superfluo aggiungere che "il sistema penale colpisce gli strati bassi e non i vertici della società" (p. 135), essendo assai "difficile individuare le attività illegali commesse al vertice e distinguerle nella fitta rete degli affari societari ordinari di ogni giorno." (p. 135)
5.
All'analisi lucida di Bauman, c'è da aggiungere solo una nota sul terrorismo. L'escalation della globalizzazione e degli attentati terroristici negli ultimi quindici anni lascia pensare che tra i due fenomeni si dia un rapporto non accidentale. Quale che sia il giudizio morale e politico che si dà del terrorismo, è difficile negare che esso riconosce un humus prodotto dalla globalizzazione: la miseria crescente dei paesi in via di sviluppo. Non è neppure insignificante considerare che il terrorismo, nella forma in cui si sta esprimendo in questi anni, vale a dire di una rete disseminata ai quattro angoli del pianeta e pronta ad entrare in azione localmente in maniera imprevedibile, non potrebbe esistere senza la compressione dello spazio analizzata da Bauman e senza la possibilità di far viaggiare istantaneamente le informazioni (oltre che le armi e i capitali).
Anziché analizzarlo com'espressione della globalizzazione economica e culturale, i capi occidentali preferiscono etichettarlo tout-court come un fenomeno di folle criminalità, e utilizzarlo come un ulteriore fattore che consente di interpretare le insicurezze e le paure della popolazione, attribuendo alla stato nazionale e all'alleanza tra stati-nazionali (l'impero del bene) il potere di reprimere il fenomeno e di avviare la costruzione di un mondo nuovo. In ciò si esprime ulteriormente il gioco delle tre carte analizzato in maniera esauriente da Bauman. Sottrattasi l'economia al controllo degli stati-nazionali, la funzione di questi, incapaci di rispondere alle esigenze di ridistribuzione della ricchezza all'interno dei loro confini e su scala mondiale, si assumono il ruolo di poliziotti del mondo.
Se il libro di Bauman ha una qualche utilità è di sottolineare l'esigenza imprescindibile per i cittadini di un mondo globalizzato di trascendere l'angusto orizzonte dell'esperienza privata e immediata, per accedere ad una capacità di analisi critica, sistemica e dialettica, in difetto della quale il collasso del mondo - sotto il profilo politico, sociale, economico e culturale - è solo questione di tempo.
Aprile 2004