L'Io e le sue substrutture

1.

Ho dedicato due articoli al Super-Io e all'Io antitetico con la pretesa di illustrare quello che, nell'ottica struttural-dialettica, appare il sottofondo di ogni esperienza soggettiva, caratterizzato da una tensione intrinseca tra la logica sistemica del bisogno di appartenenza/integrazione sociale, su cui si edifica il Super-io, e la logica differenziante del bisogno di opposizione/ individuazione, su cui si edifica l'Io antitetico. Ricondurre tale tensione al modo in cui sono rappresentati a livello inconscio i doveri sociali e i diritti individuali è una semplificazione, peraltro significativa.

Un punto fermo della teoria struttural-dialettica è che qualunque esperienza di disagio psichico, eccezion fatta per le reazioni psicologiche immediatamente comprensibili (come una modica depressione reattiva in conseguenza di circostanze negative di vita o una reazione ansiosa riferita a situazioni oggettive precarie), si definisce a partire da una scissione dei bisogni intrinseci e delle substrutture che su di essi si edificano. La scissione inconscia tra il Super-Io e l'Io antitetico, dunque, che può avere uno spettro molto ampio, è la chiave dinamica dell'universo psicopatologico.

E' implicito in questo punto di vista che tale scissione si realizza e produce i suoi effetti in gran parte al di fuori dello spazio cosciente.

Da ciò si può essere però troppo facilmente indotti a ritenere l'Io una funzione psicologica che subisce passivamente ciò che avviene al di sotto del livello della coscienza, e il cui ruolo psicopatologico, si riduce ad adottare delle difese che lo mettono al riparo dal contatto con i contenuti psichici inconsci e ad interpretare, in maniera solitamente sbagliata, i messaggi che provengono dall'inconscio.

Ritengo che questo equivoco sia una lacuna piuttosto seria del modello struttural-dialettico, che va rimediata.

Il problema, da questo punto di vista, è che il termine Io, chiaro nella sua accezione corrente, che lo identifica con l'autoconsapevolezza che ogni soggetto ha di sé come individuo differenziato da tutti gli altri e dotato di una vita interiore incentrata su di un senso di unità che si mantiene nel corso del tempo, diventa estremamente complesso allorché si cerca di definirlo in maniera più precisa.

Di questa complessità fa fede sia la filosofia che la psicoanalisi e la psicologia. In ambito filosofico, lo spettro concettuale va dall'identificazione cartesiana dell'Io con la capacità di pensare alla radicale contestazione di Nietzsche, per il quale l'Io è una finzione o addirittura un prodotto della grammaticaî. In ambito psicoanalitico alla concezione freudiana, per cui l'Io è semplicemente una differenziazione dell'Es dovuta al contatto con la realtà esterna si contrappone la concezione hartmanniana, per cui esso gode di una qualche autonomia che comporta un processo di sviluppo e di maturazione orientato all'adattamento al mondo. In ambito psicologico o psicosociologico ad una tradizione che assume l'Io come luogo dell'autopercezione che va dall'immagine di sé alla consapevolezza delle proprie capacità, inclinazioni, avversioni fino alla coscienza dell'essere qui ed ora si contrappone la teoria di Mead, secondo la quale l'Io è semplicemente la risposta che il soggetto fornisce all'interiorizzazione di ruoli proposti dal processo sociale (il Me).

Non è certo opportuno, ai fini di questo articolo, cercare di giungere ad una definizione coerente dell'Io. Dal punto di vista struttural-dialettico, è importante piuttosto tenere conto di due aspetti che si possono ritenere essenziali, e che, per semplicità, definisco l'Io-vissuto e l'Io-funzione.

Sotto il profilo del vissuto, come ciascuno può sperimentare raccogliendosi in se stesso, l'Io, fin dal suo precoce esordio infantile, coincide con l'avere una qualche coscienza di sé, di esserci, di avere una realtà psicofisica distinta dagli altri, un mondo interiore di pensieri, emozioni, fantasie, desideri privati, di avere una continuità nel corso del tempo. L'io-vissuto, in breve, coincide con quello che un soggetto sente e pensa di essere, nonché quello che egli ritiene gli altri pensino di lui.

L'immediatezza di questo vissuto fa sì che, a livello soggettivo, l'Io sembra avere una realtà sostanziale: ciò significa che il soggetto egoico si sente al centro del mondo e ha difficoltà a capire come il mondo potrebbe essere senza di lui.

L'Io-vissuto, che a livello cosciente sembra avere una dimensione sostanziale, è però l'espressione di una struttura più ampia - l'io-funzione, appunto - il cui fine è quello di trovare un punto di equilibrio adattivo tra il mondo interno e quello esterno. La necessità di questa funzione è presto detta.

Considerato nella sua realtà, che va presunta oggettiva e preesistente l'uomo, il mondo esterno ha due diverse dimensioni. Sotto il profilo fisico, quello che si offre alle modalità sensoriali, esso è un flusso caotico e perennemente mutevole di informazioni. Sotto il profilo culturale, viceversa, esso ha una struttura piuttosto stabile strutturata da regole, norme e valori che, in una certa misura, vincolano il comportamento soggettivo.

Sul primo fronte, l'Io-funzione deve categorizzare percettivamente e cognitivamente le informazioni in maniera tale da trasformare il flusso caotico delle informazioni in una visione del mondo che gli consenta di orientarsi e di agire in esso e su di esso.

Sul secondo fronte, esso deve integrare le regole, le norme e i valori culturali proposti dall'ambiente con la duplice esigenza, programmata a livello inconscio, di appartenere ad un gruppo e di essere da esso riconosciuto e, allo stesso tempo, di differenziarsi e di assumere un'identità distinta da tutti gli altri.

E' questo secondo aspetto funzionale che interessa più da vicino la psicopatologia.

2.

A differenza dell'Io-vissuto, rappresentato a livello cosciente e subconscio, l'Io-funzione esiste a tutti i livelli della personalità, quindi anche a livello inconscio.

L'intuizione dell'esistenza di un Io inconscio è dovuta a Freud. Nell'ottica freudiana, tale esistenza è attestata dalle difese che l'Io assume in rapporto ad un mondo interiore che non è meno caotico di quello esterno, ed è gravato, peraltro, dalla minaccia delle pulsioni che promuovono un disadattamento rispetto alla realtà sociale.

Dal punto di vista struttural-dialettico, viceversa, le difese che diaframmano l'Io rispetto al mondo interiore hanno due diverse componenti. Alcune di esse sono di natura neurofisiologica, vale a dire non hanno un significato psicodinamico. Servono unicamente a proteggere la coscienza dall'irruzione di un flusso di informazioni prodotte e attive a livello inconscio che sarebbe intollerabile. Altre difese hanno di certo un carattere psicodinamico. Se si prescinde però dall'ipotesi che esistano le pulsioni così come le ha definite Freud, è evidente che il loro significato va riformulato.

Non c'è bisogno ovviamente di escludere che tali difese proteggano l'Io dal contatto e dalla presa di coscienza di contenuti psichici disturbanti, poco o punto compatibili con l'immagine che l'Io ha di sé o, se si vuole, con il suo Ideale, vale a dire con ciò che egli desidererebbe essere. Ma che senso ha questa esigenza protettiva se essa non concerne le pulsioni?

Occorre a questo punto tenere conto, come ho scritto numerose volte, che la teoria pulsionale si fonda su di un abbaglio: Freud ha scambiato la fenomenologia dei vissuti che si reperiscono nell'analisi di persone affette da un disagio psichico per la loro essenza. Ha scambiato, in breve, le fantasie e desideri erotici e aggressivi di particolare intensità come prova dell'esistenza delle pulsioni. Se si utilizza viceversa il principio di ridondanza, per cui qualunque bisogno frustrato nel suo dispiegamento e nel suo appagamento, si infinitizza a livello inconscio, la fenomenologia pulsionale può essere agevolmente e univocamente ricondotta alla frustrazione di una quota di bisogni.

In nome di che, però, si realizza tale frustrazione? In nome dell'attività dinamica dei bisogni intrinseci e delle funzioni costruite su di essi, il Super-Io e l'Io antitetico.

Definire tali funzioni come substrutture dell'Io significa che, a livello inconscio, data la diversa logica di riferimento dei bisogni intrinseci, l'Io è normalmente scisso in due componenti: l'una che privilegia i doveri sociali e i bisogni dell'altro, l'altra, viceversa, che privilegia i diritti individuali e i bisogni dell'Io.

Questa scissione si può ritenere costitutiva della soggettività umana, in quanto strutturata a livello inconscio da due programmi che, in nome delle loro logiche, comportano rispettivamente la dissoluzione dell'Io nella rete degli obblighi sociali inerenti i ruoli che egli assume nel corso della vita e la dissoluzione dei doveri sociali in nome dell'esigenza primaria di agire solo in nome della libertà e della volontà personale.

Tale scissione può essere rappresentata anche a livello cosciente sotto forma di dubbio su come si debba agire nel rispetto di sé e degli altri, sotto forma cioè di conflitto tra l'Io e il suo ego-centrismo e la coscienza morale e il suo socio-centrismo. Essa però non assume se non raramente a livello cosciente un carattere drammatico. Le esigenze di unità e di coerenza dell'Io-vissuto, infatti, sono tali che, tranne nei casi in cui la sensibilità morale comporta una viva scrupolosità, l'Io cosciente può agire, e di fatto spesso agisce, in maniera contraddittoria, oscillando a livello comportamentale tra l'egocentrismo e il socio-centrismo, quasi senza accorgersene.

A livello inconscio, invece, la scissione in questione ha sempre un carattere drammatico poiché essa rimane vincolata alle due nature dell'uomo, quella per cui egli è un essere radicalmente sociale e quella per cui egli è un ente differenziato da tutti gli altri e dotato di una volontà sua propria.

Ora è senz'altro vero che la scissione riconosce come polarità dinamiche il Super-Io e l'Io antitetico. Se si ammette però che l'Io sia rappresentato a livello inconscio, è ovvio che, quale sia la sua unità e coerenza a livello conscio, esso non può sovrapporsi ad essa come un tutt'uno. Occorre dunque riconoscere che, normalmente, una parte dell'io sia connivente e alleata del Super-Io e uníaltra parte connivente e alleata dell'Io antitetico.

Se si volesse rappresentare la struttura di una personalità umana in generale occorrerebbe dunque ricondursi ad una raffigurazione simbolica del seguente tipo:


Lo schema è approssimativo, ma, a occhio e croce, rende l'idea di un Io sufficientemente integrato a livello cosciente che a livello inconscio riconosce comunque due componenti: l'una alleata con il Super-Io e l'altra con l'io antitetico. Il grado di integrazione dell'io è necessario per mediare le diverse logiche che caratterizzano le sue componenti inconsce.

A partire da questo schema è più facile capire quello che avviene, nella struttura della personalità, allorché tra Super-Io e Io antitetico, anziché una tensione, si dà un conflitto psicodinamico.

In misura direttamente proporzionale alla sua intensità, si produce a livello inconscio una scissione dell'Io. In conseguenza di questo, una parte dell'io inconscio diventa connivente con il Super-io, e uníaltra parte connivente con l'io antitetico. Su questa base, non è difficile capire le fluttuazioni che avvengono a livello coscio sotto forma di vissuti, sintomi e comportamenti psicopatologici, anche laddove l'Io cosciente continua ad apparire sufficientemente integrato.

Via via che il conflitto psicodinamico si incrementa, però, la scissione dell'Io tende ad amplificarsi e a situarsi ad un livello sempre maggiore. In tale caso, l'Io cosciente non va incontro solo a fluttuazioni, ma a cambiamenti funzionali, nel senso che talora esso assume il punto di vista del Super-Io, talaltra quello dell'Io antitetico.

Un conflitto psicodinamico estremamente attivo e a circolo vizioso può produrre, infine, la scissione dell'Io cosciente e fare affiorare, come avviene nelle esperienze psicotiche, pensieri, emozioni, fantasie e azioni che sembrano provenire da due diverse personalità.

Questa situazione può essere rappresentata graficamente nello schema seguente.


Nello schema la scissione dell'Io inconscio affiora in una certa misura a livello cosciente. Ciò significa che l'Io cosciente, pur mantenendo un qualche grado di integrazione, può ritrovarsi a sentire, a pensare e ad agire secondo due logiche diverse.

Il grado di scissione dell'Io può però variare in rapporto alla dinamica del conflitto fino a realizzare, in situazioni estreme, una scissione completa, vale a dire l'assoggettamento dell'Io al Super-Io per un verso e all'Io antitetico per un altro.

3.

L'importanza di questi concetti sul piano teorico e su quello pratico non sarà mai abbastanza sottolineata.

Sul piano teorico, essi comportano una riformulazione della teoria dell'Io che riconosca la tendenza dell'Io cosciente verso l'unità e l'integrità (con il rischio costante della mistificazione) e l'esistenza, a livello inconscio, di un Io che, in qualche misura, è diviso in due componenti, l'una catturata dalla logica del Super-Io, l'altra dalla logica dell'Io antitetico. Tale divisione non è di ordine psicodinamico ma funzionale: serve cioè solo mantenere l'Io in tensione in nome della necessità di soddisfare entrambi i bisogni intrinseci che fanno capo alla doppia natura umana.

E' solo in conseguenza di un conflitto che la divisione dell'io si trasforma in una scissione e assume un significato psicodinamico. Questo significa che le componenti inconsce dell'Io si scindono in misura direttamente proporzionale all'intensità del conflitto, e che ciascuna di essa comincia a funzionare con un certo grado di autonomia. Superata una certa soglia, la scissione investe anche l'Io cosciente che quindi giunge pensare a sentire e ad agire secondo due logiche diverse, alternativamente o contemporaneamente.

Sotto il profilo pratico, questa concezione permette di comprendere una quantità indefinita di fenomeni psicopatologici, l'evoluzione spontanea positiva o negativa delle esperienze psicopatologiche, e l'evoluzione in conseguenza di un intervento psicoterapeutico.

Non è il caso di dilungarmi ora su queste complesse tematiche. Basterà fare un esempio.

In molte esperienze di disagio la sofferenza promuove, consciamente e inconsciamente, la ricerca del colpevole. A livello cosciente il colpevole può essere univoco: il soggetto stesso o qualcun altro (di solito un familiare). A livello inconscio, la scissione dell'Io giunge sempre ad identificare contemporaneamente due colpevoli: il soggetto stesso e qualcun altro. In conseguenza di questo si realizza spesso un circolo vizioso per cui la rabbia orientata verso l'esterno viene ritorta contro il soggetto stesso e viceversa. Se questa dinamica si incrementa senza controllo è ovvio che la condizione psicopatologica è destinata progressivamente a peggiorare.

Ciò che avviene nel corso dell'analisi è che il soggetto di solito difende a spada tratta il verdetto dell'Io cosciente, criminalizzando se stesso o l'altro. Solo lentamente egli si accorge che più si dà addosso, più cresce la rabbia inconscia verso l'altro, e più dà addosso all'altro più cresce il senso di colpa. Questa consapevolezza non serve però a nulla finché l'io cosciente non accede ad una logica congiunturale per cui la sofferenza viene riferita ad una somma di fattori - ambientali, soggettivi, intersoggettivi, comunicativi, ecc. - che escludono in senso proprio la colpa. l'adozione di tale logica crea però le premesse per cui l'Io cosciente si integra. Questa integrazione di solito promuove una presa di posizione in rapporto al conflitto che scioglie la connivenza dell'io inconscio con il Super-Io e l'Io antitetico.

Tornerò altrove su questo aspetto di somma importanza, praticamente misconosciuto anche a livello di pratica analitica corrente.