Studi sul perfezionismo


1.

E' evidente che, nell'ambito delle discipline umane e sociali, vale a dire di un sapere che ancora è alla ricerca di uno statuto scientifico convalidabile, la riflessione degli autori su di uno stesso oggetto porta spesso a risultati concettuali che sembrano simili. In realtà, per quanto simili, tali risultati hanno significati diversi a seconda dei presupposti da cui muove la riflessione.

Laddove i presupposti, ispirandosi a criteri descrittivi, tendono a differenziare i fenomeni in rapporto all'opposizione tra normale e anormale, si giunge univocamente a conclusioni chiare e distinte, ma astratte. Il sapere che si consegue, insomma, è puntuale ma superficiale in rapporto ai fenomeni in questione.

Se si muove viceversa da presupposti psicodinamici e storico-antropologici, la distinzione tra normale e anormale tende non solo a sfumare, ma ad apparire come espressione di un continuum tale per cui è l'anormalità ad evidenziare il significato di ciò che si ritiene convenzionalmente normale e a rivelarne, al di là delle singole esperienze, la matrice storico-culturale.

Il sapere descrittivo, che è quello proprio della psicologia nella misura in cui essa pretende di porsi come scienza, è suggestivo, perché coglie di fatto aspetti fenomenici reali, ma è del tutto astratto. Il sapere psicodinamico e dialettico, viceversa, non solo è concreto, perché coglie più in profondità il senso dei vissuti soggettivi, ma è aperto all'interrogazione continua sul farsi e disfarsi del soggetto nella sua interazione con un mondo determinato.

Questa premessa teorica, sulla quale tornerò in altri articoli inerenti le cosiddette scienze psicologiche, può apparire oscura. Cerco di esemplificarla in un ambito di discorso specifico, quello del perfezionismo.

Negli articoli che ho dedicato a questa dinamica psicologica sottolineavo lo scarso interesse della psicopatologia e della psichiatria a riguardo. L'affermazione era approssimativa. Nella letteratura specialistica qualche articolo dedicato al perfezionismo si trova sin dai primi anni '90. In essi si ritrovano la distinzione tra un perfezionismo sano e uno nevrotico, il rilievo dell'incidenza psicopatologica del perfezionismo e, addirittura, qualche tentativo di definire una scala di valutazione di questo tratto di personalità.

Non è un caso che tale letteratura sia di matrice statunitense. Anche se nessuno degli autori coglie la distinzione tra perfezionismo morale e perfezionismo sociale, è fuor di dubbio che la cultura statunitense, per il singolare innesco del capitalismo e della sua etica del lavoro su di una tradizione religiosa fortemente caratterizzata dal puritanesimo, ha rappresentato e rappresenta un terreno ottimale di sviluppo del fenomeno.

L'interesse per il perfezionismo è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi 5 anni in misura direttamente proporzionale alla diffusione dell'anoressia e al rilievo dell'associazione pressoché costante del disturbo del comportamento alimentare con un orientamento globalmente perfezionistico. Tale interesse ha dato luogo al recupero degli spunti di riflessione affiorati negli anni '90 e a tentativi molteplici di caratterizzare, valutare con scale e interpretare il fenomeno.

A riprova di tale interesse, riproduco due articoli tra i molti ormai reperibili su Internet, che ritengo di un certo interesse.

Prendo spunto da essi per approfondire il discorso metodologico accennato all'inizio.

2.

Un'introduzione al "perfezionismo"nell'ottica cognitivo-comportamentale

Patrizia Todisco

Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare - A.O. "Spedali Civili", Brescia

Nella letteratura internazionale più recente il perfezionismo è apparso rivestire un ruolo di rilievo nell'eziologia, nel decorso e nel mantenimento di alcuni stati psicopatologici quali: depressione e suicidalità, disturbi d'ansia (ansia sociale, fobia sociale, disturbo ossessivo compulsivo - DOC), Disturbo di Personalità Ossessivo-Compulsivo (DPOC), Disturbi dell'Alimentazione (DA).

Nei DA, in particolare, esso rappresenterebbe un fattore di rischio per lo sviluppo della patologia conclamata.

Nonostante il numero crescente di pubblicazioni relative a questo costrutto, restano tutt'ora aperti una serie di problemi relativi alla sua definizione e quindi ai metodi di valutazione più idonei, al tipo e all'entità della sua relazione con la psicopatologia e infine le implicazioni terapeutiche di tutto ciò.

Le prime definizioni di "perfezionismo"risalgono alla fine degli anni sessanta. Ritenendolo un costrutto unidimensionale, esse si focalizzavano esclusivamente sugli aspetti autoriferiti ovvero lo stabilire standard non realistici per se stessi, l'attenzione selettiva verso il fallimento, il pensiero dicotomico (successo pieno o totale fallimento) (Hollender, 1965; Hamacheck, 1978; Burns, 1980). Secondo la definizione di Hollander (1978), ad esempio, perfezionismo sarebbe "la consuetudine di richiedere a se stessi o agli altri livelli di performance più elevati di quanto non sia necessario in quella specifica situazione". Si evidenziava allora anche la possibilità che ci fosse un perfezionismo, per così dire, "normale", in cui il soggetto si stabilisce elevati standard prestazionali ma è poi soddisfatto una volta che li ha raggiunti, e un perfezionismo "nevrotico", disfunzionale o negativo, in cui chi ne soffre non riesce mai a fare abbastanza per essere soddisfatto della propria performance (Slade & Owen, 1998). Risultava quindi evidente come l'autostima dei "perfezionisti"dipendesse dal raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Furono allora sviluppate le prime scale di valutazione del perfezionismo come unidimensionale: la Dysfunctional Attitudes Scale (DAS; Weissman & Beck, 1978) e i suoi adattamenti; la sottoscala Perfezionismo dell'Eating Disorder Inventory (Garner et al, 1983).

A partire dagli anni '90 si svilupparono delle definizioni multidimensionali di perfezionismo comprendenti non solo gli aspetti autoriferiti, ma anche quelli interpersonali (Frost et al, 1990; Hewitt et al, 1991). Esse derivarono da osservazioni cliniche secondo le quali i soggetti perfezionisti sarebbero eccessivamente preoccupati della possibilità di commettere errori, dubiterebbero della qualità del loro lavoro, attribuirebbero elevato valore alle aspettative dei propri genitori e alla disciplina: in altre parole, gli aspetti interpersonali avrebbero un'importanza cruciale nel determinare le difficoltà di adattamento dei perfezionisti. Si svilupparono conseguentemente due scale:

1) Multidimensional Perfectionism Scale (MPS-F; Frost et al., 1990) che valuta le seguenti dimensioni - Preoccupazione riguardo agli errori; Dubbi sulle azioni; Standard personali; Aspettative genitoriali; Criticismo genitoriale; Organizzazione/disciplina.

2) Multidimensional Perfectionism Scale (MPS-H; Hewitt & Fleet, 1991): questa comprende - Perfezionismo diretto verso sè; Perfezionismo diretto verso gli altri; Perfezionismo socialmente prescritto.

Recentemente sono state portate critiche alla definizione multidimensionale che è stata ritenuta non valutare il costrutto originario, ma di comprendere anche convinzioni "associate"e non parte essenziale del perfezionismo, quali gli aspetti interpersonali (Shafran et al., 2001, 2002, 2003). Questa definizione sarebbe stata influenzata dalle patologie studiate per derivarla (ad es. il DOC) e dagli strumenti di assessment utilizzati multidimensionali (Shafran et al., 2001, 2002, 2003). Il gruppo di Oxford sostiene, inoltre, che considerare il perfezionismo multidimensionale non ha permesso evoluzioni nella comprensione teorica e nel trattamento clinico di diverse patologie e che per poter ricoprire un ruolo centrale nella psicopatologia deve essere necessariamente un costrutto ben definito e unico (Shafran et al., 2001). Nonostante queste critiche non abbiano ancora ottenuto evidenza sperimentale e anzi ci siano sempre più dati a favore della multidimensionalità del perfezionismo (Tozzi et al., 2004; Sassaroli & Ruggiero, 2005), Fairburn e i suoi collaboratori hanno proposto una loro definizione unidimensionale.

Shaphran, Cooper e Fairburn (2002) hanno, innanzitutto, sottolineato l'importanza di distinguere il normale e funzionale perseguimento di alti standard dal perfezionismo disfunzionale o di rilevanza clinica che si riscontra nei campioni patologici e hanno quindi parlato di "perfezionismo clinico" inteso come "l'esagerata dipendenza della valutazione di sé dal perseguimento di standard personalmente esigenti e autoimposti in almeno un dominio altamente significativo, nonostante ciò implichi conseguenze avverse" (Shafran et al., 2001). La psicopatologia centrale di questo costrutto è rappresentata da uno schema disfunzionale di auto-valutazione eccessivamente basato sul perseguimento e il raggiungimento di risultati che sono molto elevati per quel soggetto. Da ciò deriva che l'autostima è dipendente pressochè da un unico ambito, ed è quindi estremamente precaria, e che il mancato raggiungimento degli obiettivi stabiliti porta ad autocritica e autosvalutazione. Questo è tanto più vero quanto più lo schema autovalutativo del soggetto è focalizzato sul dominio/ambito in cui si esprime il perfezionismo (ad esempio il peso nei DA). Secondo Shafran et al. (2003) l'individuo affetto da "perfezionismo clinico"persegue gli alti standard che si è imposto nonostante ciò implichi una serie di conseguenze avverse (emotive, sociali, fisiche, cognitive, comportamentali) talvolta ritenendole come una dimostrazione del proprio impegno strenuo e come prezzo da pagare per ottenere la stima di sé.

Il mantenimento della psicopatologia del perfezionismo, secondo questa definizione, è assicurato da una serie di processi tra cui:

1. La paura patologica del fallimento, che porta l'individuo a reagire con estrema autocritica a ogni insuccesso percepito e, quindi, a mantenere attivo lo schema negativo di autovalutazione;

2. Lo stabilire standard sotto forma di regole che sono per definizione dicotomiche e, quindi, suscitano senso di colpa e autorecriminazione qualora vengano trasgredite;

3. La necessità di autocontrollo estremo per ottenere gli scopi stabiliti anche a costo di limitare le attività piacevoli;

4. La modalità pregiudiziale di valutazione non solo del raggiungimento di standard personali elevati, ma anche dello sforzo necessario ad ottenerli;

5. L'attenzione selettiva nei confronti del fallimento che porta ad ipervalutare gli errori e sottovalutare i successi parziali con la comparsa di "comportamenti di controllo", palesi o nascosti, e di "comportamenti di evitamento"(procrastinazione, interruzione, evitamento completo) necessari ad allontanare la possibilità dell'insuccesso;

6. Il ristabilire gli obiettivi ottenuti con successo perché ritenuti non abbastanza elevati se raggiungibili.

Rispetto alle altre definizioni "multidimensionali" di perfezionismo questa si concentra sulla dimensione auto-referenziale, personale del costrutto per renderlo fruibile nella pratica clinica come uno dei meccanismi di mantenimento di alcuni quadri psicopatologici. Essa è stata sollecitata, infatti, dall'osservazione clinica che molti pazienti affetti da patologie sull'Asse I presentano una psicopatologia riferibile al "perfezionismo clinico"e che questa circostanza complica la risoluzione del loro disturbo principale. La presenza di perfezionismo è risultata predittiva di uno scarso esito al trattamento della depressione e di difficoltà allo sviluppo della relazione terapeutica. L'interazione tra il perfezionismo clinico e il trattamento sarebbe tanto più importante quanto più il dominio in cui si esprime il perfezionismo si sovrappone al dominio colpito dal disturbo psichiatrico. Nel caso dei DA il gruppo di Oxford ipotizza che essi siano in molti casi l'espressione del perfezionismo nel dominio alimentazione, aspetto o peso e loro controllo, dal momento che la valutazione di sé di questi pazienti può essere vista come dipendente dal loro sforzarsi di raggiungere elevati standard personali di controllo nell'ambito alimentazione-peso, nonostante importanti conseguenze negative (emotive, sociali, fisiche, cognitive e comportamentali). Esempio di ciò sono la depressione, l'isolamento sociale, la fame persistente, il pensiero polarizzato su cibo e peso che i soggetti con DA vivono in conseguenza della restrizione alimentare, ma che accettano come segni del loro oggettivo impegno per raggiungere i livelli di peso desiderati.

La definizione di perfezionismo clinico proposta da Shaphran, Cooper e Fairburn (2002) ha importanti implicazioni teoriche e terapeutiche.

Tra le prime, l'interdipendenza reciproca tra perfezionismo e autovalutazione che si evidenzia nel fatto che il perfezionista si valuta in base agli alti standard che si impone, persegue e tenta di raggiungere e, viceversa, nel fatto che il perfezionismo è mantenuto attivo da una valutazione di sé negativa.

I presupposti teorici portano allo sviluppo di un modello di terapia che richiede la risoluzione del perfezionismo clinico come uno degli aspetti implicati nel mantenimento di alcune malattie psichiatriche, a sua volta mantenuto da un'insieme di fattori. Ne deriva che nel trattamento è necessario, innanzitutto, portare il paziente alla consapevolezza che il perfezionismo costituisce un problema che va inserito nella formulazione cognitivo-comportamentale del caso. In questa formulazione deve essere riconosciuta come problematica fondamentale la limitatezza dello schema di autovalutazione che è eccessivamente condizionato dal perseguimento di elevati obiettivi in un unico e particolare aspetto della vita, spesso disfunzionale esso stesso (ad es. la magrezza estrema nei DA). Lo scopo del trattamento è primariamente quello di ampliare lo schema di autovalutazione del paziente, aumentando il numero e la funzionalità dei domini che vi contribuiscono. All'interno di questo modello è previsto l'utilizzo di tecniche comportamentali, per testare ipotesi alternative allo schema disfunzionale del soggetto, e di tecniche cognitivo-comportamentali, per affrontare le idee disfunzionali che sostengono il perfezionismo come lo stabilirsi standard personalmente esigenti, l'autocriticismo, l'intolleranza dell'incertezza e dell'errore.

Il perfezionismo clinico viene, anche, inserito tra i fattori di mantenimento aggiuntivi e facoltativi dei DA ipotizzati in nuova teoria transdiagnostica di queste patologie. Secondo questa teoria, da cui è stata tratta una terapia consequenziale, al nucleo centrale di mantenimento dei DA, costituito da un sistema disfunzionale di valutazione del valore personale incentrato su alimentazione, peso e aspetto e la capacità di controllarli, si aggiungerebbe, in alcuni pazienti, un numero variabile (da uno a quattro) di fattori di mantenimento aggiuntivi (perfezionismo clinico, bassa autostima centrale, intolleranza alle emozioni, difficoltà interpersonali). I fattori aggiuntivi, tra cui il perfezionismo clinico, se presenti, richiederebbero specifici interventi terapeutici.

Bibliografia essenziale

Il perfezionismo nei disturbi dell'alimentazione

a cura della dott.ssa Federica Bignotti - psicologa della Casa di Cura Villa Garda di Verona

Introduzione

L'articolo si propone di passare in rassegna alcuni degli studi condotti finora su una caratteristica considerata un importante fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione e che sembra essere resistente al cambiamento: il perfezionismo. Prima di trattare il perfezionismo specificamente all'interno dei disturbi dell'alimentazione, è sembrato interessante affrontare brevemente gli aspetti di questo costrutto e dei più recenti strumenti ideati per indagarlo; sarebbe, infatti, d'auspicio che la ricerca approfondisse meglio, con tutti gli strumenti disponibili, il ruolo che il perfezionismo ha all'interno di un disturbo così sfaccettato quale è il disturbo dell'alimentazione. Verrà in seguito dato rilievo a due aspetti del perfezionismo, personali e sociali, e alle ricerche che hanno attribuito più importanza agli uni o agli altri; poi saranno prese in considerazione le relazioni tra il perfezionismo e altre caratteristiche salienti per la comprensione del disturbo dell'alimentazione: autostima, insoddisfazione corporea, sintomi ossessivo-compulsivi, iperattività; infine riporteremo alcuni consigli per l'intervento.

Definizione di perfezionismo

Con il termine "perfezionismo" si fa in genere riferimento all'abitudine a domandare a sé stessi o agli altri una performance di qualità maggiore, rispetto a quella richiesta dalla situazione. Ciò è accompagnato dalla tendenza ad una valutazione critica del proprio comportamento (Bastiano et al., 1994; Frost et al., 1990). Le caratteristiche perfezionistiche secondo Hewitt e Flett (1991) sono elencate nella tabella 1.

Tabella 1. Caratteristiche perfezionistiche

1) Standards irrealistici e sforzi per raggiungere questi standards

2) Attenzione selettiva agli errori

3) Interpretazione degli errori come indicatori di fallimento e credenza che, a causa di essi, verrà persa la stima degli altri

4) Autovalutazioni severe e tendenza ad incorrere in un pensiero tutto o nulla, dove i risultati possono essere solo un totale successo o un totale fallimento

5) Dubbio sulla capacità di portare a conclusione un compito in modo corretto

6) Tendenza a credere che gli altri significativi abbiano aspettative elevate

7) Timore delle critiche.

Hewitt, P. L. e Flett, G. L. (1991). Perfectionism in the self and social context: conceptualization, assessment, and association with psychopathology, Journal of Personality and Social Psychology, 60, 456-470.

Strumenti di valutazione del perfezionismo

Le ultime ricerche condotte sul costrutto del perfezionismo, data la sua complessità, propendono verso una visione multidimensionale. Gli studiosi che più di recente si sono occupati del perfezionismo sono Frost da una parte e Hewitt e Flett dall'altra. Questi ricercatori hanno costruito due strumenti per indagarlo: 1) la Multidimensional Perfectionism Scale (MPS; Frost et al.; 1990) e l'omonima Multidimensional Perfectionism Scale (MPS; Hewitt et al., 1991).

L'inventario di Frost e collaboratori è costituito dalle sei scale seguenti:

1) Excessive Concern Over Mistakes; misura le reazioni negative agli errori, lo sbaglio è considerato un insuccesso, in seguito al fallimento gli altri perderanno la stima nei confronti del soggetto.

2) Personal Standard; misura la presenza di standard elevati e la loro influenza sull'autovalutazione.

3) Parental Expectations; misura la tendenza a credere che gli altri significativi abbiano elevate aspettative nei confronti del soggetto.

4) Parental Criticism; misura la percezione che gli altri siano o siano stati eccessivamente critici nei confronti della persona.

5) Doubts About Action; misura la presenza del dubbio sulla propria capacità di portare a termine il compito in modo perfetto.

6) Organization; misura l'importanza attribuita all'ordine ed all'organizzazione.

L'inventario di Hewitt e Flett (1991) è costituito dalle tre scale seguenti:

1) Self Oriented Perfectionism; esprime la tendenza a porsi obiettivi troppo elevati, a generalizzare i fallimenti e ad incorrere facilmente in pensieri "tutto o nulla".

2) Other Oriented Perfectionism; misura la tendenza ad avere aspettative troppo elevate riguardo agli altri e alle persone significative, ad essere eccessivamente critici nel valutare gli altri.

3) Socially Prescribed Perfectionism; valuta la tendenza a credere che gli altri abbiano alte aspettative sulle prestazioni del soggetto; questo porta timore per la valutazione negativa degli altri e a credere che sia necessario raggiungere quegli standards per guadagnare l'altrui approvazione e accettazione.

Oltre alle dimensioni di tratto del perfezionismo, Hewitt e collaboratori (1995) hanno descritto aspetti sociali del perfezionismo che implicano gli stili di auto-presentazione; secondo gli autori l'auto-presentazione perfezionistica comprende tre maggiori componenti:

1) Bisogno di apparire perfetti.

2) Bisogno di evitare di apparire imperfetti.

3) Bisogno di evitare di mostrare le proprie imperfezioni.

Secondo Hewitt e collaboratori (1995), indipendentemente dalle dimensioni di tratto del perfezionismo, il forte bisogno di presentarsi perfetti, può influenzare il comportamento nei disturbi dell'alimentazione, non permettendo alla persona di mostrare i propri difetti o di ammettere delle difficoltà.

Un confronto tra i due strumenti è stato fatto da Frost ed i suoi colleghi nel 1993; l'analisi fattoriale degli item dei due strumenti ha rilevato due principali fattori: 1) preoccupazioni valutative disadattive; 2) sforzo per raggiungere risultati positivi. Le dimensioni più correlate alla patologia sembrano essere l'Excessive Concern Over Mistake e il Socially Prescribed Perfectionism; quest'ultima, in modo particolare è elevata in persone che soffrono di depressione ed in pazienti con disturbo borderline di personalità.

Perfezionismo "sano" e "malato"

Alcune caratteristiche del perfezionismo possono essere viste come socialmente desiderabili e appaiono essere adattive per un funzionamento psicologico sano; sforzi elevati sono spesso associati a soddisfazione personale e ad un aumentato senso di autostima. D'altra parte con perfezionismo ci si può anche riferire alla tendenza a stabilire standard elevati impossibili da raggiungere e un forte bisogno di evitare fallimenti. Burns (1993), a questo proposito, ha ritenuto importante differenziare il perfezionismo "malato"dalla "salutare ricerca di eccellere".

Nella tabella 2 sono elencate le caratteristiche del perfezionismo "malato"e della "salutare ricerca di eccellere".

Tabella 2. Perfezionismo "malato"e "salutare ricerca di eccellere"

Caratteristiche principali del perfezionismo malato

Caratteristiche principali della"salutare ricerca di eccellere"

Il perfezionismo "malato" secondo Burns porta a sviluppare stress al lavoro e a scuola, a oscillazioni dell'umore, come depressione ed ansia, a solitudine e difficoltà a formare relazioni strette, ad eccessiva frustrazione, rabbia e conflitti nelle relazioni personali, a problemi nell'apprendere da critiche, fallimenti ed errori, alla procrastinazione e alla difficoltà nello sperimentarsi in compiti difficili

Terry-Short e collaboratori (1995), seguendo la teoria di Skinner (1968), differenziano il perfezionismo "sano" da quello "malato"sulla base della storia dei rinforzi che hanno portato al suo costituirsi: il perfezionismo positivo sarebbe il frutto di una storia di rinforzi positivi, mentre il perfezionismo negativo di rinforzi negativi cioè di agenti rinforzanti che consistono nel rimuovere qualcosa da una situazione. Uno stesso comportamento può essere associato a stati emotivi differenti a secondo che sia funzione di un rinforzo positivo o negativo; in seguito ad una storia di rinforzi positivi, il comportamento è percepito come frutto di una libera scelta mentre se lo stesso comportamento è messo in atto per evitare conseguenze negative, è percepito come obbligatorio.

Perfezionismo nei disturbi dell'alimentazione

Tra gli studiosi che si sono occupati di perfezionismo nei disturbi dell'alimentazione alcuni hanno dato più rilievo agli aspetti personali (Strober, 1991), sottolineando anche l'influenza della componente genetica su questo tratto di personalità (Halmi et al., 2000), altri hanno sottolineato il ruolo dei fattori sociali.

Qui di seguito sono riportati i principali studi pubblicati recentemente sul perfezionismo nei disturbi dell'alimentazione.

Studi e teorie che hanno dato più rilievo agli aspetti personali del perfezionismo

Bastiani (1994), in seguito ad uno studio preliminare eseguito su soggetti affetti da anoressia nervosa, ha trovato che la caratteristica del perfezionismo, nel suo aspetto "self oriented", misurato tramite lo strumento di Hewitt e Flett, persiste in seguito all'aumento di peso corporeo così come l'impulso alla magrezza. Secondo la ricerca condotta da Bastiani (1994), le ragazze anoressiche, dopo un lungo ricovero, hanno disturbi che suggeriscono un'alterata attività neuronale serotoninergica.

Halmi e collaboratori (2000) hanno esaminato il ruolo del perfezionismo come tratto fenotipico nell'anoressia nervosa e la sua rilevanza tra i sottotipi clinici. Secondo gli autori, il fatto che i soggetti con anoressia nervosa registrano, nella valutazione a lungo termine del perfezionismo, punteggi elevati anche dopo il recupero del peso corporeo, fa ipotizzare la presenza di una certa ereditabilità di questi tratti temperamentali che sembrano esprimere in definitiva una vulnerabilità genotipica all'anoressia nervosa. Gli autori hanno ritenuto importante indagare la presenza di eventuali differenze tra i sottogruppi clinici (anoressia nervosa con restrizioni - ANR; anoressia nervosa con condotte di eliminazione-ANE; anoressia nervosa con abbuffate e con condotte di eliminazione - ANAE) in relazione al perfezionismo per l'eventuale ruolo che i fattori di personalità possono giocare nel mediare gli aspetti fenotipici del comportamento del disturbo. 322 donne affette da anoressia nervosa hanno partecipato ad uno studio multicentrico internazionale in cui sono state analizzate le variazioni del perfezionismo in tre diversi sottotipi clinici: anoressia nervosa con restrizioni (ANR), con condotte di eliminazione (ANE) e con abbuffate e condotte di eliminazione (ANAE). Il campione clinico è stato confrontato con un gruppo di controllo senza alcuna storia di disturbo dell'alimentazione o di qualsiasi comportamento alimentare disturbato. Durante il primo contatto, è stato richiesto ai partecipanti iniziali e a tutte le coppie di congiunti, se esistevano altri collaterali, fino al quinto grado, affetti da un disturbo dell'alimentazione ed in caso di riscontro positivo questi sono stato contattati. Lo studio, oltre ad aver confermato una forte componente ereditaria dell'anoressia nervosa (percentuale elevata di parenti affetti dallo stesso disturbo), ha confermato che nell'anoressia nervosa sono presenti livelli più elevati di perfezionismo, rispetto al gruppo di controllo. Il gruppo di controllo sano, infatti, ha avuto un punteggio più basso rispetto a ciascuno dei gruppi con anoressia nervoosa in tutte le sottoscale del MPS, il quale è risultata significativamente correlato anche con la motivazione al cambiamento (più ossessioni meno motivazione). I soggetti con ANE hanno avuto un punteggio significativamente più elevato all'item criticismo dei genitori, rispetto ai soggetti con ANR. Inoltre sono risultati più elevati, nei tre gruppi di pazienti, anche i punteggi dell'EDI 2, nella sottoscala del perfezionismo. Questi risultati supportano la teoria che il perfezionismo è una caratteristica dominante della personalità di soggetti affetti da anoressia nervosa e che, insieme ad altri tratti fenotipici correlati alla personalità, può costituire, quantitativamente, una misura comportamentale associata ad una suscettibilità genetica per l'anoressia nervosa.

Secondo Strober (1991, cit. in art. di Hewitt e Flett, 1995), tre aspetti della personalità fortemente legati al perfezionismo formano il cuore della vulnerabilità ai disturbi dell'alimentazione:

1) Bassa ricerca della novità - il perfezionista, infatti, si cimenta in poche attività e solo in quelle in cui è sicuro di avere una performance perfetta.

2) Eccessivo evitamento del danno - il perfezionista sente la necessità di evitare di apparire imperfetto; ciò può essere letto come il voler evitare critiche negative da parte di altri.

3) Dipendenza dalle ricompense - vedi la dipendenza dall'approvazione degli altri.

Kaye e collaboratori (1991) hanno trovato che i farmaci che agiscono specificamente nell'inibire la ricaptazione della serotonina riducono il tasso di ricaduta nell'anoressia nervosa, dopo la normalizzazzione del peso corporeo in seguito ad un ricovero. Questo dato associato all'evidenza che i soggetti con anoressia nervosa presentano elevati livelli di 5-HIAA nel CSF delle pazienti in remissione prolungata (Kaye et al., 1991; 1998) ha fatto ipotizzare a Kaye e collaboratori che l'aumento dei livelli di 5-HIAA nel CSF precede l'esordio del disturbo dell'alimentazione. L'alterazione serotoninergica determinerebbe alcune caratteristiche comuni all'anoressia nervosa e alla bulimia nervosa: perfezionismo, ossessività, evitamento del danno, disforia. La dieta diminuisce i livelli di 5-HIAA nel CSF riducendo la disponibilità del suo precursore (triptofano) e quindi può essere considerata un mezzo per regolarizzare i livelli di 5-HIAA nel CSF e le emozioni negative conseguenti. Secondo Kaye sottogruppi diversi dei disturbi dell'alimentazione sarebbero legati ad altri fattori di vulnerabilità; ad esempio, autocontrollo nell'ANR (presenza elevata di disturbo ossesivo-compulsivo di personalità nei pazienti e nei loro familiari), disinibizione e perdita di controllo nella bulimia nervosa e nell'anoressia nervosa con abbuffate-condotte di eliminazione (assenza di disturbo ossesivo-compulsivo di personalità o presenza di altri fattori biologici di vulnerabilità).

Studi e teorie che hanno dato più rilievo agli aspetti sociali del perfezionismo

Hamacheck (1978) ha rilevato che l'eccessiva preoccupazione di compiere errori e la paura del giudizio negativo degli altri derivano da esperienze nell'infanzia; l'amore manifestato dai genitori è condizionato alla performance del bambino e le approvazioni sono inconsistenti; il bambino non si sente mai soddisfatto perché il suo comportamento non è mai abbastanza corretto per guadagnare l'approvazione dei genitori e attua uno sforzo continuo per ottenerla.

Burns (1980) sostiene che genitori perfezionisti utilizzano il ritiro dell'affetto e la disapprovazione come punizione e che i loro bambini tendono a rispondere agli errori con ansia e paura, come se qualcosa dovesse essere evitato.

Uno studio di Frost e collaboratori (1991) ha trovato che il livello di perfezionismo e la severità riportata dalle madri è collegata al perfezionismo nelle figlie; le madri che riportano un maggior livello di perfezionismo, hanno figlie con problemi psicologici di maggiore intensità; anche le ragazze che percepiscono il padre molto severo (indipendentemente da come il padre stesso valuta la sua severità) hanno un elevato livello di perfezionismo. Sembra dunque che il perfezionismo del figlio sia associato con i rigidi standards dei genitori.

Hewitt e Flett (1995), su un campione studentesco, hanno evidenziato che il Socially Prescribed Perfectionism è collegato ai sintomi del disturbo dell'alimentazione, a sintomi di bulimia, al disturbo dell'immagine corporea e all'autostima; il Self Oriented Perfectionism sembra essere invece collegato solo a sintomi anoressici, dieta e impulso alla magrezza, e non ad altri aspetti del disturbo dell'alimentazione. Secondo questi autori, dunque, nelle persone che soffrono di disturbi dell'alimentazione sono importanti le componenti sociali nel perfezionismo: il comportamento perfezionistico in esse sembra infatti essere motivato da un forte desiderio di conformarsi ad un modello o ad un ideale di perfezione che è percepito dalle richieste degli altri. Ciò che sembra critico nel determinare questa motivazione, è la convinzione che uno deve essere approvato dagli altri raggiungendo degli standards perfezionistici.

L'importanza degli aspetti sociali del perfezionismo è sottolineata anche dal risultato che i punteggi alla Perfectionistic Self Presentation, misurata tramite la Perfectionistic Self Presentation Scale (PSPS, Hewitt, Flett e Fairlie, 1994), hanno capacità predittiva sulle misure riguardanti problemi dell'immagine corporea e l'autostima. Questo è collegato all'ipotesi che lo sforzo di apparire impeccabili sia un tentativo di compensare la bassa autostima.

Brownell (1991) ha invece posto attenzione al ruolo che la società moderna ha nel generare la ricerca del corpo perfetto; il modello estetico ideale oggi è estremamente magro e di bell'aspetto; Brownell (1991) riporta che modelle ed attrici hanno il 10-15% di grasso corporeo mentre una donna sana il 22-26%; la percentuale di grasso corporeo richiesta per raggiungere l'ideale estetico dunque è probabilmente la metà del livello normale. Le persone ricercano l'ideale non solo per benefici alla salute ma per ciò che l'ideale incarna nella nostra cultura: avere un corpo perfetto simbolizza il controllo. In una cultura che valorizza l'auto-controllo, il lavoro duro ed il rinvio della gratificazione, avere un corpo desiderabile segnala al mondo esterno la presenza di controllo: avere controllo su impulsi a mangiare, all'inattività, riflette lavoro duro e ambizione. Per Brownell (1991), ci sono due assunzioni diffuse relative al corpo ed alla forma: 1) il corpo è estremamente malleabile e, di conseguenza, con la giusta combinazione di dieta ed esercizio, ogni persona può raggiungere l'ideale. La fisiologia del corpo va però contro quest'assunzione; ricerche mostrano come variabili biologiche, in particolare quelle genetiche, influenzano la regolazione del peso e delle forme corporee. Fallire di raggiungere l'ideale porta come conseguenza l'insoddisfazione corporea. 2) Grandi ricompense attendono chi raggiunge un corpo ideale. Anche questa assunzione è errata; le ricerche hanno evidenziato come essere fisicamente attraenti porta vantaggi in alcune aree e svantaggi in altre.

Perfezionismo-insoddisfazione corporea-autostima

Bardone e collaboratori (2000) hanno indagato la relazione tra perfezionismo, insoddisfazione corporea ed autostima. L'insoddisfazione corporea è stata misurata con una semplice domanda riguardo a come le donne si sentivano: da molto sottopeso a molto in sovrappeso; il sovrappeso percepito è risultato avere una capacità predittiva dei sintomi maggiore rispetto all'effettivo soprappeso. Secondo i risultati di questo studio, le tre variabili indagate interagiscono a predire sintomi bulimici; in particolare, donne che si considerano soprappeso e che hanno alti livelli di perfezionismo e bassa autostima mostrano un maggior rischio di sintomi bulimici. Quando un individuo molto perfezionista fallisce nel raggiungimento di uno standard, probabilmente proverà emozioni e pensieri negativi riguardo al sé; essi possono essere anche inesistenti in coloro che hanno un'alta autostima ma intensi in coloro che hanno bassa autostima. Quest'ultimi possono essere motivati a fuggire da sentimenti e pensieri negativi riguardo al sé: le abbuffate possono essere una possibile via di fuga.

Perfezionismo e sintomi ossessivi nei disturbi dell'alimentazione

Un'altra caratteristica alla quale è associato il perfezionismo è l'ossessività tanto che c'è chi ritiene il disturbo dell'alimentazione sia una variante "moderna", sviluppatasi nella cultura occidentale, del disturbo ossessivo compulsivo (DOC) (Rothenberg, 1990). La preoccupazione per il cibo riscontrata nelle anoressiche dipinge l'intrinseca natura ossessiva del disturbo dell'alimentazione; collegato all'impulso a raggiungere la magrezza, è il controllo, su peso, appetito, pensieri e ambiente. L'amenorrea nelle anoressiche può rappresentare, secondo Rothenberg, il successo nel controllo delle funzioni corporee; anche nel DOC le idee ossessive svolgono una funzione di controllo su impulsi, desideri e affetti. Il disturbo alimentare e il DOC sono accomunati inoltre da un alto livello di attività fisica e da una alterazione dell'attività serotoninergica

Altri studiosi non condividono la teoria di Rothenberg e hanno visto il disturbo dell'alimentazione e il DOC come due disturbi differenti con sintomi comuni. E' stato infatti sottolineato l'importante ruolo dell'inedia e della perdita di peso corporeo nella genesi dei tratti ossessivi e la possibilità che essi siano un effetto secondario dello stato di deprivazione (Garfinkel e Garner, 1982). Inoltre, si è rilevato che pazienti con disturbo dell'alimentazione non giudicano i loro sintomi ossessivi (es. pensieri intrusivi sul loro corpo) come senza senso e spesso non tentano di ignorarli o sopprimerli. A riprova dell'esistenza di due disturbi diversi, c'è anche la diversa reazione all'assunzione di farmaci che agiscono sulla ricaptazione della serotonina sebbene i due disturbi siano entrambi stati messi in relazione a disfunzioni del sistema serotoninergico: nell'anoressia nervosa c'è un aumento del tono dell'umore, mentre nel DOC c'è una diminuazione dell'ansia e delle ossessioni (Bastiani e al., 1996).

Davis e collaboratori (1998) hanno ipotizzato che l'ossessività possa rappresentare un antecedente nella patogenesi di alcuni disturbi dell'alimentazione e che l'intenso esercizio fisico contribuisca ad esacerbare la sintomatologia ossessiva una volta che si è sviluppato il disturbo; la ricercatrice ed i suoi collaboratori hanno trovato che l'inedia, insieme alla presenza di un elevato esercizio fisico, è in relazione ad una maggiore sintomatologia ossessiva. Le pazienti iperattive mostrano un livello significativamente maggiore di perfezionismo, rispetto a quelle non iperattive. D'altra parte, per quanto riguarda le altre caratteristiche dell'anoressia nervosa (preoccupazione per il peso, insoddisfazione corporea, bassa autostima) non ci sono differenze fra i due gruppi.

Alcuni consigli terapeutici per affrontare il perfezionismo nei disturbi dell'alimentazione

Purtroppo, non sono stati effettuati studi sistematici per valutare l'efficacia di specifici interventi psicoterapeutici o farmacologici sulla modificazione dei livelli di perfezionismo nei disturbi dell'alimentazione. In questo paragrafo riporto alcuni consigli, derivati dall'esperenza di alcuni clinici famosi di scuola cognitiva comportamentale che hanno affrontato il tema del perfezionimo in generale e nei disturbi dell'alimentazione.

In primo luogo è utile favorire l'acquisizione da parte del paziente di una maggiore consapevolezza dei propri tratti perfezionistici, portando all'attenzione il problema del perfezionismo e individuando gli ambiti della vita quotidiana in cui ha standard eccessivamente elevati (risultati scolastici, apparenza fisica, lavori domestici). In secondo luogo può essere utile esplorare come il perfezionismo influenzi l'opinione di sé stessi, le relazioni e le situazioni al lavoro ed a scuola. Infine, è importante provare ad focalizzare i fattori, individuali e sociali, presenti o passati, che possono aver influito sullo sviluppo e sul mantenimento di tendenze perfezionistiche, riflettendo dunque sia sul ruolo di una società che da' molta importanza al controllo sia su come i genitori reagiscono a successi e fallimenti del figlio e sia sulla possibile componente genetica di questo tratto.

Burns (1980) suggerisce di fare un'analisi dei costi e dei benefici, cioè di individuare alcune credenze disfunzionali alla base delle tendenze perfezionistiche (es. "Io devo cercare di essere sempre perfetta"; "Le persone penseranno peggio di me se compirò un errore") e di esse elencare in due diverse colonne i vantaggi e gli svantaggi nel mantenerle. L'autore propone inoltre un esercizio su una situazione specifica in cui, prima di tutto, si deve descrivere una situazione nella quale il perfezionismo ha costituito un problema (a causa delle connesse auto-critiche) e di questa situazione si devono individuare i pensieri automatici, il grado di convinzione in essi, le emozioni, l'intensità di esse e il tipo di distorsioni cognitive utilizzate. I pensieri automatici negativi vanno poi sostituiti con pensieri automatici positivi e va stimata la convinzione in essi e l'intensità delle emozioni associate.

Vanderlinden (2001), infine, propone alcuni esercizi comportamentali. Uno di essi potrebbe essere quello di individuare le attività che ci si sente obbligati a svolgere in modo quasi compulsivo e pianificare dei cambiamenti in cui, gradualmente, si diminuisce la quantità di tempo dedicato ad esse. Un altro esercizio è quello della "sfida al perfezionismo"che consiste nel mettere in atto comportamenti che vanno nella direzione opposta a quella abituale (es.: gettare deliberatamente i vestiti nei cassetti in modo disordinato, non rifare volutamente il letto, studiare volutamente di meno).

Conclusioni

Alti livelli di perfezionismo sono stati dimostrati nei disturbi dell'alimentazione sia da ricerche caso-controllo sia da studi prospettici che hanno evidenziato la persistenza di questo tratto in seguito alla normalizzazzione del peso corporeo. Il perfezionismo nei disturbi dell'alimentazione sembra avere un'origine multifattoriale (genetica, legata alle relazioni con i genitori e sociale) e sembra essere un importante fattore di rischio e di mantenimento dei disturbi dell'alimentazione. I meccansimi attraverso cui il perfezionimo aumenta il rischio di sviluppare i disturbi dell'alimentazione non sono noti, ma sembrano essere importanti i legami che esso assume con l'autostima, l'immagine corporea, la restrizione alimentare e la sintomatologia ossessiva. Infine, non abbiamo ancora studi che abbiano valutato se specifiche tecniche psicoterapeutiche o farmacologiche siano in grado di ridurre in modo persistente i livelli di perfezionismo nei soggetti con disturbi dell'alimentazione.

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- Vanderlinden, J. (2001). Come sopravvivere all'anoressia e alla bulimia: strategie per famiglie, amici e terapeuti. Casa ed. Positive Press

3.

La concordanza di alcuni contenuti tra la letteratura specialistica e i miei articoli può portare facilmente a minimizzare le differenze. Esse sono essenzialmente tre.

L'ossessione della psicologia di misurare i tratti della personalità comporta, come conseguenza, che i tests e i questionari possono essere strutturati solo in riferimento a ciò che è quantificabile. L'efficientismo prestazionale - sia esso riferito allo studio, al lavoro, alla cura della casa, ecc. - lo è; l'efficientismo morale, incentrato su una vita "virtuosa"e su una disponibilità altruistica illimitata - non lo è. In conseguenza di questo, nella letteratura specialistica la distinzione tra perfezionismo sociale e perfezionismo morale è praticamente ignorata.

Questa lacuna è importante non solo per il contributo che il perfezionismo morale dà alla psicopatologia, reso evidente dal fatto che i soggetti illimitatamente disponibile nei confronti degli altri, pur ricevendo conferme sociali di ogni genere, convivono con un'immagine interna univocamente e talora drammaticamente negativa, che si origina sulla base delle ricorrenti fantasie di mandare tutti a quel paese.

Tale lacuna impedisce anche di valutare l'incidenza dei valori morali nella strutturazione dinamica di alcune forme di perfezionismo sociale. E' questo il caso di gran parte delle esperienze di perfezionismo domestico che, inconsciamente, sono sottese dal bisogno della donna di sancire la sua appartenenza alla categoria degli esseri "puliti", onesti, "immacolati". E' anche il caso di alcune esperienze anoressiche che insorgono come reazione difensiva rispetto ad una turbolenza emozionale che comporta, inconsciamente, il pericolo di un abbandono ad una vita sessuale disordinata.

La seconda differenza è che, mentre nell'ottica descrittiva, la definizione del perfezionismo sano è estremamente chiara, dal punto di vista dinamico essa diventa molto più incerta. Poniamo tra parentesi il fatto che numerosi soggetti affetti da un perfezionismo patologico hanno livelli di coscienza tali per cui essi spontaneamente ritengono di fare ciò che è indispensabile e giusto fare e confondono la tranquillità che ricavano dall'eseguire procedure rituali con la gioia e la creatività. Questo significa che molti di essi, posti di fronte alle tabelle che elencano le differenze tra le due forme di perfezionismo, non avrebbero difficoltà a inquadrare la loro condizione nell'ambito del perfezionismo sano.

Il problema è che molti perfezionisti che si ritengono "sani", di fatto, non lo sono. La soddisfazione e il senso di sicurezza che ricavano da quello che fanno all'insegna del bisogno di eccellere possono essere infatti ricondotti a motivazioni alienate e strumentali. Lo sforzo di lavorare dodici ore al giorno, per esempio, per un manager o un libero professionista può essere ampiamente compensato dal guadagno e dal successo, e non associarsi ad alcuna delle caratteristiche che si ritengono specifiche del perfezionismo patologico. Può darsi, però, che quello sforzo mortifichi motivazioni più profonde e personali, che allontani insomma dall'autorealizzazione intesa in senso proprio, che non può non essere vocazionale. Almeno alcune di tali esperienze, se non rientrano nell'ambito del perfezionismo patologico, sono ascrivibili a quello che oggi si chiama il workalcholic (dipendenza compulsiva dal lavoro).

L'alienazione, vale a dire il vivere sotto la spinta di motivazioni che il soggetto sente come espressive del suo essere, ma che di fatto sono l'espressione di condizionamenti educativi, culturali, ambientali, è una dimensione trasversale che compromette la netta distinzione tra perfezionismo patologico e perfezionismo sano.

La terza differenza verte, appunto, su questa distinzione che, nell'ottica descrittiva, non tiene conto della complessità del rapporto tra esperienza soggettiva, conscia e inconscia, e ambiente sociostorico. Adottando un punto di vista dinamico e dialettico, essa, al limite, può essere rovesciata.

Ponendo tra parentesi l'influenza di una tradizione religiosa e morale che incide nell'indurre i soggetti ad orientarsi verso una pratica della virtù "sfrenata", e tenendo conto solo dell'ideologia dello sviluppo illimitato, che caratterizza l'attuale fase evolutiva del capitalismo, e dell'enfasi che tale ideologia associa al raggiungimento di uno status sociale elevato, riesce evidente che il modello normativo proposto dalla nostra società è perfezionistico e patologico nella misura in cui esso ignora il limite.

Se si ammette che tale modello catturi un numero indefinito di persone, si possono definire due categorie: i soggetti che sviluppano, consciamente o inconsciamente, e spesso esprimono psicosomaticamente una sofferenza, e quelli più o meno felici.

Se è vero che a quest'ultima categoria appartengono anche persone la cui autorealizzazione è autentica, si tratta di una minoranza, perché l'autenticità, nel nostro mondo, è attestata da scelte di vita che, in una certa misura, sono sempre "strane"agli occhi degli altri e prescindono dai valori ritenuti tradizionalemente capaci di dare la felicità (status, reddito, ecc.).

La sofferenza espressa da coloro che sono affetti da un perfezionismo patologico può essere interpretata anche prescindendo da un codice normativo. Coscientemente, essa viene ricondotta al non raggiungere determinati risultati, all'inadeguatezza, al disvalore, alla paura del giudizio sociale negativo e, per quanto concerne i perfezionisti morali, al senso di colpa. Se si va al di là del livello cosciente, si scopre però che essa, di fatto, è dovuta al perpetuo boicottaggio esercitato dalla parte più sana della personalità, che, in misura più o meno rilevante, interferisce sulle prestazioni, contesta e contrasta il regime perfezionistico.

Estremamente tipici a riguardo sono i casi degli studenti perfezionisti che si bloccano, delle casalinghe che diventano nevrotiche via via che si danno da fare, dei lavoratori che accusano paurosi cali di rendimento, dei perfezionisti morali che hanno la fantasia di mandare tutti a quel paese, ecc.

Il perfezionismo patologico, insomma, è una medaglia a due facce, quella nascosta essendo rappresentata da un opposizionismo più o meno spiccato.

Se ciò è vero, si conferma anche in questo ambito che la patologia, analizzata sotto un profilo dinamico, è in realtà un tentativo di guarigione che l'io antitetico oppone ai condizionamenti culturali interiorizzati.

C'è insomma la possibilità che, se dà ascolto ai messaggi che vengono dal profondo, un perfezionista patologico guarisca, mentre per molti perfezionisti sani, completamente alienati, questa possibilità non si dà.

Penso che questo discorso chiarisca sufficientemente la premessa da cui l'articolo ha preso le mosse.